IL BILANCIO COMUNALE: LE CAUSE E I RISCHI DEL POSSIBILE DISSESTO

Con il Quaderno n.1, dal titolo “Manfredonia: demografia, realtà socio-economica e bilancio comunale”, a firma di Nicola di Bari, prende il via una nu

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Con il Quaderno n.1, dal titolo “Manfredonia: demografia, realtà socio-economica e bilancio comunale”, a firma di Nicola di Bari, prende il via una nuova iniziativa del sito internet www.comunitaeterritorio.it  volta ad offrire ai propri lettori la possibilità di andare oltre la cronaca e di approfondire alcuni temi che riguardano più da vicino la vita della città.

Il tema del Quaderno, scaricabile gratuitamente dal sito, è certamente tra quelli più attuali e scottanti, perché riguarda il bilancio comunale in un momento di forte crisi del sistema della finanza pubblica locale, acuitosi con la progressiva riduzione dei trasferimenti statali e, a partire dal 2012, con l’introduzione di regole più rigorose sul rispetto dell’equilibrio di bilancio e di maggiori controlli da parte della Corte dei Conti.

Sono tanti i Comuni in Italia, piccoli e grandi, che hanno dichiarato il dissesto, mentre numerosi altri, a centinaia, vivono una situazione di pre-dissesto.

Il presupposto iniziale è una condizione di disavanzo strutturale, che si verifica quando le uscite di un ente locale superano sistematicamente le entrate.

All’inizio gli amministratori tendono a dissimulare tale situazioni con operazioni di bilancio spesso volte ad evidenziare l’esistenza di crediti o di entrate attese che non corrispondono alla reale situazione economico-finanziaria dell’ente, puntando di fatto a rinviare nel tempo (e magari lasciando ad altri) l’adozione di misure radicali e così prolungando l’agonia finanziaria dell’ente.

Finché a suonare il campanello dell’ultimo giro non interviene la Corte dei Conti.

È in quel momento che, per evitare che lo squilibrio dei conti conduca al dissesto, si avvia una procedura di «rientro dal disavanzo» e l’ente entra in uno stato di pre-dissesto.

Ai Comuni viene chiesto di approvare in consiglio comunale un documento, il piano di riequilibrio finanziario pluriennale, che può andare dai quattro ai venti anni, in cui, in sintesi,  ci si impegna a ridurre le uscite e aumentare le entrate, con la possibilità di ricorrere anche ad un aiuto dello Stato, che, attingendo ad un apposito fondo (il “Fondo di rotazione”), presta loro i soldi per far fronte alle necessità del momento,  mettendoli così nelle condizioni di spalmare il debito in un arco temporale di dieci anni, prolungabile, dopo una modifica introdotta con la legge di stabilità 2016, fino a trent’anni.

Il 14 febbraio de 2019, la Corte costituzionale ha però dichiarato incostituzionale  il ripiano del disavanzo in 30 anni, perché in contrasto con gli artt. 81 e 97 della Costituzione. Una sentenza che è suonata da monito per tutti i comuni.

Secondo la Consulta,  la norma che consente la dilazione trentennale del deficit viola il patto tra generazioni, perché, da un lato, grava «in modo sproporzionato sulle opportunità di crescita delle generazioni future» e non garantisce loro risorse sufficienti per un equilibrato sviluppo; dall’altro, favorisce un dannoso allargamento della spesa corrente e rimanda il risanamento in modo irragionevole.

L’intervento della Corte costituzionale, censurando un modo di intendere la politica teso a far ricadere sulle generazioni a venire il pesante fardello dei debiti prodotti e accumulati, ha inteso affermare un principio che non dovrebbe valere soltanto per l’amministrazione di un ente locale, ma fungere da guida per un agire politico responsabile a tutti i livelli, a partire dallo Stato.

La pronuncia della Corte ha messo in moto una dinamica che, in mancanza di correttivi, rischia di portare al default finanziario anche numerosi comuni italiani di grandi dimensioni che nel frattempo avevano fatto ricorso al piano di riequilibrio trentennale.

Al di là dei numerosi altri effetti previsti dal TUEL, il comune che va in dissesto deve aumentare nella misura massima consentita le aliquote e le tariffe di base  delle imposte e le tasse locali, diverse dalla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, le cui tariffe devono consentire di coprire il costo integrale di gestione del servizio .

Ma quando la tassazione è già ai massimi livelli, la dichiarazione di dissesto è davvero un danno?

Sicuramente lo è per chi ha amministrato.

In particolare, gli amministratori che la Corte dei conti riconosce, anche in primo grado, responsabili di aver contribuito con condotte, dolose o gravemente colpose, sia omissive che commissive, al verificarsi del dissesto finanziario, non possono ricoprire, per un periodo di dieci anni, incarichi pubblici  di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati. Inoltre, i sindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili sono incandidabili, per un periodo di dieci anni, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di Giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento italiano e di quello europeo. Infine, a carico degli amministratori ritenuti responsabili la Corte dei Conti può irrogare anche una sanzione pecuniaria.

Un danno lo è di sicuro anche per i creditori del comune, cui vengono ridotti gli importi e allungati i tempi di incasso.

Dal punto di vista della comunità amministrata, però, non sarebbe forse un bene ripartire da zero?

La domanda, alla quale di Bari tende a dare una risposta negativa, non è inopportuna.

Con la dichiarazione di dissesto, infatti, per i cittadini cambia poco: come detto, le imposte sono già state portate al massimo in fase di pre-dissesto e quindi non potrebbero aumentare col dissesto.

Il default finanziario, a conti fatti, permetterebbe invece alla macchina comunale di riavviare i motori partendo da una sorta di anno zero, senza il gravame di un debito spalmato negli anni, che condizionerebbe inevitabilmente l’azione amministrativa per decenni.

Purtroppo, a Manfredonia la questione è tutt’altro che teorica, vista la Delibera Commissariale n.23 del 16 ottobre 2019, che ha approvato il rendiconto della gestione dell’esercizio finanziario 2018 certificando un disavanzo di circa 31,6 milioni di euro, e la prevedibile riduzione delle entrate nel corso del 2019, per via della difficoltà di riorganizzare in poco tempo l’Ufficio Tributi dopo la messa in liquidazione della società partecipata Gestione Tributi (per non dire della mancata riscossione delle entrate straordinarie previste nel piano pluriennale).

Ecco il perché l’opportunità di una riflessione collettiva di più lungo respiro ed ecco spiegato il motivo per cui l’autore del Quaderno introduce l’argomento proprio conun’ampia analisi dei dati e delle dinamiche demografiche che riguardano la città di Manfredonia e dei suoi riflessi sulla realtà sociale ed economica.

Una realtà che Nicola di Bari, nato e cresciuto a Monte Sant’Angelo ma residente a Manfredonia da più di vent’anni,  conosce bene, non solo perché vi lavora ma anche perché ne ha fatto oggetto di studio con altre pubblicazioni (“Capitanata Meridiana, Un nuovo modello di sviluppo”, 2011, e “Economia e dignità, Turismo e agricoltura per il futuro”, 2014, entrambi editi da Andrea Pacilli Editore) e con numerosi articoli scritti per questo sito.

Lo scopo è quello di avviare una discussione pubblica che veda coinvolti non solo gli addetti ai lavori ma tutti i cittadini che hanno voglia di prendersi a cuore il futuro di questa città con passione e competenza.

 

Gaetano Prencipe

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