VILLA ROSA: A MANFREDONIA LA FERITA APERTA DI UNO DEI LUOGHI PIÙ ROMANTICI DELLA PUGLIA

Per te, o mio Rosina questa villa che tutta la mia vita ormai rinserra, io volli progettare e costruire. Disagi, avversità, violenze infami non val

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Per te,
o mio Rosina questa villa che tutta la mia vita
ormai rinserra, io volli progettare e costruire.
Disagi, avversità, violenze infami non valsero a fermare il mio cammino.
Più forte fu la fede, più forte ancor l’amore.
Vinsi!
E la tua reggia alfin dal sol baciata,
da mille e mille piante profumata,
brillò su questa arida pietraia.
Ma tu la mia fatica compiuta non vedesti!
Dal ciel mi sorridesti e il tuo sorriso
fu tutto il premio ch’io avea sognato.
1940 – XVIII

Queste struggenti parole d’amore accoglievano, fino ad un decennio fa, il visitatore che varcava l’ingresso principale di Villa Rosa, l’imponente complesso circondato da ulivi che ai piedi dei monti del Gargano sovrasta Manfredonia. La dedica era riportata su una targa ovale, sulla parete sinistra della sala d’ingresso della Villa.

Oggi quella targa non c’è più. Già brutalmente imbrattata, è stata poi divelta da ignoti ed oggi non ve n’è più traccia. L’intero edificio ha costituito oggetto, nel corso degli anni, di continui attacchi vandalici. Oggi la situazione è davvero desolante: le sale della Villa, una volta rivestite da splendidi stucchi, sono ricolme di macerie ed immondizia.

Eppure, Villa Rosa è una delle costruzioni più belle del territorio, con una storia degna di una fiaba, che la rende la costruzione la più romantica dell’intera Puglia.

Venne progettata negli anni ’20 del secolo scorso dal cav. Vincenzo D’Onofrio, proprietario del pastificio D’Onofrio & Longo. Durante i lavori, terminati nel 1940 (anno XVIII dell’era fascista, come si leggeva nella lapide), la moglie del proprietario, Rosa Longo, venne a mancare giovanissima. Il marito, che non riusciva a trovare pace per la tragica perdita, decise di dedicare all’amata moglie la magnifica villa, chiamandola Villa Rosa. Ma solo il nome non bastava: decide di scolpire su una lapide l’amore eterno per la sua Rosina, da tutti conosciuta anche per la grande bontà d’animo.

Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, a Villa Rosa vennero ospitate cinque famiglie di sfollati e, per un periodo, un comando delle forze armate alleate. Il cav. D’Onofrio qui morì nel 1964, lasciando la villa agli eredi insieme al rinomato pastificio “D’Onofrio e Longo”. Purtroppo, nel 1966, a causa di problemi finanziari, il pastificio fu costretto alla chiusura e, per far fronte agli oneri di liquidazione del personale dipendente, si decise per la vendita della villa.

L’acquistarono S.E. Mons. Andrea Cesarano e sua sorella Cesarano-Giglio e, nel 1974, la piena proprietà del fabbricato con vincolo di destinazione a casa di riposo per il clero, per gli anziani, per i disabili, fu donata all’Ente Anna Rizzi, mentre la nuda proprietà del terreno circostante rimase ad usufrutto perpetuo a favore del Seminario Arcivescovile di Manfredonia per 1/3 e delle Suore dell’Istituto San Francesco da Paola per l’altro terzo.

Purtroppo, quella donazione anziché segnare una nuova nascita per Villa Rosa, ne sancì la fine.

Perché mai tanta ostinata cattiveria nello sventrare l’edificio? E perché nessuno è mai intervenuto (né interviene tuttora) per salvaguardare e riportare all’antico splendore questo complesso? Difficile dare una risposta.

Quel che è certo, però, per chi, come me, è un’inguaribile romantica, è che Rosina ed il suo amato non meritavano un simile scempio.

Maria Teresa Valente

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