Generale Antonio Basilicata, lei è capo del Primo reparto investigazioni preventive della Direzione investigativa antimafia. E per quattro anni è stat
Generale Antonio Basilicata, lei è capo del Primo reparto investigazioni preventive della Direzione investigativa antimafia. E per quattro anni è stato il comandante Provinciale dei Carabinieri a Foggia. La Quarta mafia, come riconosciuto da più parti, è stata a lungo sottovalutata. Adesso ritiene ci sia la giusta attenzione investigativa?
«La Magistratura e le forze di Polizia, grazie anche ad una diffusa rete di investigatori, hanno, da tempo, piena consapevolezza delle potenzialità della criminalità foggiana, estremamente pericolosa e violenta, che non smette di confermarsi tale. Ne sono la riprova i continui episodi di sangue, non ultimo l’omicidio della scorsa settimana di Francesco Pio Gentile».
«Indubbiamente, l’opinione pubblica nazionale non aveva percepito la reale portata criminale del fenomeno mafioso nel foggiano. Rispetto a questo stato di cose, la risposta delle Istituzioni c’è sempre stata e continuerà ad essere incisiva, sia da parte degli uffici competenti sulla provincia sia da parte delle strutture specializzate a competenza nazionale, come la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e la Direzione investigativa antimafia. E i risultati non mancano, basti considerare le pesanti condanne comminate, in secondo grado, nell’ambito dei noti processi “Rodolfo” e “Saturno”».
«Tanto è stata alta l’attenzione delle strutture investigative e dell’autorità giudiziaria, che attualmente quasi tutti i capoclan e gli elementi di vertice delle cosche sono detenuti, molti dei quali sottoposti al regime del “carcere duro”».
Se parliamo di economia illegale, i clan del Gargano sembrano aver messo in un angolo la Società del capoluogo. Un’analisi condivisibile?
«Per quanto i clan della mafia garganica stiano vivendo un momento di forte penetrazione nel tessuto sociale – dice il generale Basilicata – comunque non influiscono sulla presenza dei clan dell’area del capoluogo e del Tavoliere. Si potrebbe, tutt’al più, intravvedere una tendenza delle tre storiche organizzazioni operanti sul territorio della provincia di Foggia, la Società foggiana, la mafia garganica e la malavita cerignolana, a propendere, seppur in modo embrionale, verso un’unica strategia operativa. In questo sistema resta comunque centrale il ruolo della Società foggiana che, attraverso un’importante rete di contatti tessuti in tutta la provincia, proietta le proprie strategie criminali anche fuori dalla città. Gli accordi e i “legami d’affari” tra i diversi gruppi sono, tra l’altro, funzionali alla necessità di gestire, in maniera sinergica, le attività illecite, in particolare i traffici di armi e degli stupefacenti».
I collegamenti con la ‘ndrangheta hanno alimentato la crescita qualitativa della criminalità organizzata dauna. È così?
«Non i collegamenti, ma il modus operandi originario della ‘ndrangheta può essere assimilabile alla mafia foggiana, per almeno due motivazioni. La prima di carattere “sociologico”, perché nell’immaginario criminale nazionale la ‘ndrangheta e le sue ritualità hanno un ascendente particolare. Non è un caso che, in recenti indagini sulla mafia foggiana, sono state riscontrate forme di “emulazione” dei “comportamenti” ‘ndranghetisti, come ad esempio analoghi rituali di affiliazione e ripartizione dei ruoli, con qualifiche, gerarchie e addirittura gergo della criminalità calabrese. L’utilizzo di parole come picciotto, picciotto d’onore e sgarrista la dicono lunga su questa forma di contaminazione». «La seconda motivazione è di carattere organizzativo, piano sul quale la ‘ndrangheta, con la sua forte compartimentazione gerarchica, è stata presa a modello di riferimento. Per quanto sovrapponibili, tuttavia, le due organizzazioni esprimono, allo stato, un livello di “maturità criminale” differente: l’efferatezza con la quale la mafia foggiana continua a manifestarsi costituisce il punto di distinzione dalla ‘ndrangheta, che sembra aver superato la fase “violenta”, preferendo a questa l’infiltrazione silente del territorio».
Gli investigatori parlano di ‘ndranghetizzazione. Che significa stringere alleanze al di là dei confini geografici e investire sempre più lontano.
«Le motivazioni appena descritte ammettono un’analogia con la ‘ndrangheta, che evidentemente rappresenta un “modello” criminale sia per la capacità di gestire traffici transnazionali di stupefacenti, sia per la professionalità con la quale riesce a riciclare, nei più svariati settori, il flusso di capitali illeciti che ne deriva. Ciononostante, per quanto si inizino a cogliere segnali di presenza fuori regione, mi sembra improprio parlare, sotto questo aspetto, di ‘ndranghetizzazione della mafia foggiana, proprio per la mancanza di una proiezione strutturata fuori dal territorio di origine, aspetto invece qualificante delle cosche calabresi, che tendono a replicarsi sia in Italia che all’estero, ove hanno costituito addirittura dei locali di ‘ndrangheta».
Chi controlla la costa, la porta d’ingresso della marijuana in Europa, comanda. È questo il business numero uno?
«Il traffico di marijuana, ma anche di eroina e di armi, si alimenta attraverso la “rotta balcanica”, che penetra in Europa attraverso la costa adriatica. Il particolare sviluppo morfologico della Puglia facilita la realizzazione di questi traffici, che risultano i principali business di diversi gruppi criminali, non solo di estrazione foggiana. A fattor comune, però, i gruppi pugliesi avrebbero stretto accordi con le compagini albanesi, attraverso le quali riescono ad approvvigionarsi di consistenti carichi di stupefacenti. I continui sequestri operati su tutta la costa pugliese sono la riprova di questa salda sinergia criminale, per arginare la quale anche le Forze di polizia hanno avviato un importante percorso di collaborazione. Proprio il nostro centro operativo della Dia di Bari, a marzo dello scorso anno, ha concluso l’operazione “Shefi”, che ha visto operare una “Squadra investigativa comune”, composta da funzionari italiani e albanesi, che ha disarticolato un’organizzazione composta da 43 soggetti, attiva tra Italia, Albania e Romania. Nel corso delle indagini sono state sequestrate oltre 2 tonnellate di droga, movimentate sull’asse Albania-Puglia».
Le faide di una volta si sono trasformate in regolamenti di conti per controllare la linfa vitale della Piovra: i soldi. Insomma, di “rozzo” è rimasto solo il modo con cui si spara. Ormai, quella del Gargano, è una mafia imprenditrice che indossa giacca e cravatta?
«L’evoluzione della mafie va certamente verso un unico grande obiettivo: il riciclaggio e l’investimento delle ricchezze accumulate nel mondo delle imprese. Tuttavia, pur riconoscendo che la criminalità garganica si stia evolvendo verso forme di investimenti più sofisticati, sicuramente non ha ancora sviluppato le caratteristiche di una imprenditoria mafiosa paragonabili a quelle delle altre organizzazioni criminali del Sud Italia. Per scardinare queste penetrazioni nell’economia legale, la Dia sta potenziando sempre di più le investigazioni preventive, mettendo a sistema le informazioni relative al mondo degli appalti e quelle che attengono alle movimentazioni finanziarie, nella prospettiva di intercettare i prestanome e così aggredire i grandi capitali mafiosi».
I capitali illegali si muovono su più mercati e tra più mercati. I primi tre settori economici dove investe la Quarta Mafia?
«Non farei una distinzione netta. Lo spostamento, il riciclaggio e il reimpiego di capitali dipendono da diverse variabili, connesse sia alle nuove opportunità che il mercato offre, sia alle alleanze criminali che vengono strette. La mafia foggiana sta comunque rivolgendo le proprie mire verso settori strategici per il territorio, con una strategia che è funzionale sia alla mimetizzazione dei capitali, sia ad un controllo sociale. In questo senso, oltre ai settori dei rifiuti, del gioco illecito, dell’edilizia, del trasporto su strada e del turistico-alberghiero, i gruppi non trascurano, soprattutto in un’area ad alta vocazione rurale, il comparto agricolo, con tutto ciò che ne consegue in termini di sfruttamento della manodopera e di acquisizione di sovvenzioni pubbliche».
La storia criminale insegna che il modello di una cupola in grado di decidere per tutti oggi non porta più i risultati di una volta. Meglio, una sorte di federazione del crimine, dove alla tavola apparecchiata si siedono e mangiano tutti gli attori coinvolti. Vale anche per la Capitanata?
«L’analisi del fenomeno criminale evidenzia come la Società foggiana, la mafia garganica e i gruppi cerignolani appaiano proiettati verso una gestione sinergica degli affari illeciti, specie dei traffici di stupefacenti e di armi, senza trascurare il riciclaggio di denaro».
Non basta solo la repressione per vincere la guerra. Serve una risposta sociale. Eppure all’ultima marcia antimafia a Foggia per strada c’erano meno di 200 persone su 150mila abitanti. Come si superano la paura e l’omertà?
«La paura e l’omertà si superano facendo ciascuno la propria parte. Le forze di Polizia e tutte le istituzioni devono sempre dare risposte tempestive ed efficaci ai cittadini minacciati dalla mafia. Tuttavia, lo stato di depressione economica contribuisce ad aumentare il disagio sociale, favorendo, in parte, il reclutamento di giovani leve nelle compagini criminali. La pronta risposta delle Istituzioni ed un miglioramento delle condizioni economiche generali daranno la possibilità ai giovani di crescere serenamente nella legalità e di superare paura e omertà. Ho fiducia nei giovani della provincia di Foggia, con i quali ho avuto modo, in più occasioni, di relazionarmi nel corso del mio periodo di comandante Provinciale dell’Arma dei Carabinieri, e non ho dubbi sul fatto che non si lasceranno disorientare dalla mafia».
Le organizzazioni criminali hanno bisogno del consenso per vivere. L’intreccio tra una parte della politica, l’economia e il mondo della illegalità costruisce questo riconoscimento. Secondo lei, quanto è radicato il consenso nei confronti della Piovra da queste parti?
«Le indagini ci dimostrano come anche nella provincia di Foggia si è radicata l’area grigia, punto di incontro tra mafiosi, imprenditori, liberi professionisti e apparati della pubblica amministrazione. Una “terra di mezzo” dove affari leciti e illeciti tendono a incontrarsi, fino a confondersi, con la corruzione che rappresenta il collante del sistema. Lo scioglimento dei Consigli comunali di Monte Sant’Angelo e Mattinata è indicativo di questa opera di contaminazione. L’attenzione della Magistratura e delle forze di Polizia si sta sempre più rivolgendo verso quest’area intermedia, nella prospettiva di sradicare e ridurre un intreccio così perverso».
Viste le sue esperienze professionali, lei è un profondo conoscitore della realtà della Capitanata. Come giudica l’impegno e l’attenzione dei mass media?
«Probabilmente, per molti anni, la mafia foggiana non ha avuto i riflettori che meritava per varie ragioni sociali e culturali, tra le quali, non ultima, la pervicace forza della altre mafie del Sud Italia, su cui principalmente si concentravano i mass media. Certamente, a seguito della strage di San Marco in Lamis, la maggiore attenzione della stampa ha fatto maturare nell’opinione pubblica la giusta consapevolezza. Occorre però saper distinguere ed evitare che ogni fatto di criminalità venga interpretato automaticamente come una manifestazione di criminalità mafiosa. Un sillogismo di questo tipo non farebbe altro che avvantaggiare le organizzazioni mafiose, dal momento che potrebbe risultare più difficile tracciarne le strategie criminali sul territorio».
Seguite i soldi, troverete la mafia, diceva Falcone. È ancora così? In un mondo globalizzato quanto è diventata difficile questa ricerca?
«Le mafie non hanno confini e sanno sfruttare perfettamente i canali finanziari internazionali. A tale scopo, le organizzazioni criminali si avvalgono di figure altamente professionali che, sebbene “esterne” all’organizzazione, prestano la loro opera proprio per schermare e moltiplicare gli interessi economico-finanziari dei gruppi criminali. Si tratta di “facilitatori”, di veri e propri professionisti del riciclaggio, in grado anche di gestire transazioni internazionali da località off-shore, offrendo quello che le mafie preferiscono: la riservatezza e una vasta gamma di servizi finanziari, inclusi quelli di elusione fiscale. C’è però un punto debole: il riciclaggio rappresenta un momento di emersione e quindi di vulnerabilità dei patrimoni mafiosi. È per affinare sempre più investigazioni di questo tipo che la Dia sta investendo importanti risorse professionali, impegnate quotidianamente nell’analisi della documentazione bancaria, societaria e delle segnalazioni finanziarie sospette, inviate dall’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia. Un patrimonio informativo che, a sua volta, viene messo in connessione con i dati degli assegnatari delle commesse pubbliche, in un processo di investigazione preventiva che si traduce sia nell’emissione delle interdittive antimafia da parte dei Prefetti, che nella confisca dei patrimoni mafiosi».
Fonte:Gazzetta del Mezzoggiorno
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