Il ministro della Salute, Giulia Grillo, ha parlato di un «cambio di rotta». I presidenti delle Regioni non hanno battuto ciglio. Ma per la Puglia, e
Il ministro della Salute, Giulia Grillo, ha parlato di un «cambio di rotta». I presidenti delle Regioni non hanno battuto ciglio. Ma per la Puglia, e per quasi tutto il Sud, la norma sblocca turn-over approvata giovedì scorso equivale a una beffa. Anche se il 9 aprile i tecnici ministeriali dovessero sancire l’uscita dal Piano operativo, i nuovi limiti alla spesa del personale non consentiranno di procedere alle 4.700 assunzioni previste.
Spieghiamo. Il tetto per il personale era pari alla spesa storica del 2004 meno l’1,4%, che per la Puglia è pari (al netto degli aumenti contrattuali) a 1,961 miliardi. Lo sblocca turn-over ha fissato il nuovo tetto alla spesa sostenuta nel 2018. Cosa cambia? Nulla per chi (quasi tutte le Regioni del Nord) non ha mai rispettato il vecchio tetto. Tutto per la Puglia, che nel 2018 ha speso (il dato non è definitivo) circa 1,7 miliardi netti.
Oggi, in regime di Piano operativo, le assunzioni sono bloccate salvo deroghe da parte dei ministeri (che le hanno concesse con il contagocce). La Regione stava infatti puntando tutto sulla conclusione positiva della verifica che a inizio aprile dovrebbe far venire meno il «commissariamento soft» e dunque anche il blocco delle assunzioni. Questo avrebbe consentito (è scritto nel Piano operativo) di spendere i circa 200 milioni (che con i rinnovi diventano 300) di differenza tra la spesa attuale e il vecchio tetto calcolato sul 2004: un tesoretto che avrebbe consentito di assumere circa 4.700 unità di personale su un fabbisogno stimato in 6.600. Non sarà più possibile, perché il tetto potrà essere aumentato (a partire dal 2020) solo del 5% dell’incremento del fondo sanitario, cioè (per la Puglia) di un massimo di 5-6 milioni l’anno.
I tecnici dell’assessorato alla Salute stanno effettuando le simulazioni per capire l’impatto del nuovo tetto di spesa. Ma, si fa notare, bisognerà anche tenere conto degli effetti di «quota 100», che nei prossimi 5 anni dovrebbe far andare in pensione circa 300 medici l’anno. Già oggi il sistema sanitario pugliese ha 18mila dipendenti in meno rispetto alla Toscana: la media italiana è di 10,4 dipendenti ogni 1.000 abitanti, la Puglia è a quota 8,7. Al Sud, peraltro, l’età media (53 anni) è sensibilmente più alta rispetto al resto d’Italia. In queste condizioni diventa molto, molto difficile garantire i Livelli essenziali di assistenza: i soli 300 medici che andranno via ogni anno per quota 100 sono l’equivalente di un ospedale di base, e per i medici il deterrente delle penalizzazioni sulla pensione conterà fino a un certo punto. Questo perché in una situazione come la attuale, in cui c’è carenza di medici, tantissimi potranno lasciare le Asl e andare a lavorare nel privato o dedicarsi alla libera professione.
In Puglia nell’ultimo decennio (ed escluso il 2018, i cui numeri definitivi non sono ancora disponibili) il personale è costantemente diminuito: dopo il blocco del turn-over tra il 2010 e il 2012, è stato possibile compensare solo le cessazioni del triennio 2013-2015. Nei tre anni successivi (quelli del Piano operativo) la copertura del turn-over non è stata integrale, ma andrà valutato l’effetto finanziario delle stabilizzazioni: questo perché i contratti a tempo determinato non entravano (e non entrano) nella determinazione del tetto di spesa. E dunque è probabile che l’unica soluzione per riemprire le corsie sia affidarsi di nuovo a personale precario.
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