Sangalli al de profundis?

Per lo stabilimento Sangalli Vetro pare si sia arrivati al “Piano zero” ovverosia alla previsione dei costi per “lo smaltimento dei rifiuti abbandonat

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Per lo stabilimento Sangalli Vetro pare si sia arrivati al “Piano zero” ovverosia alla previsione dei costi per “lo smaltimento dei rifiuti abbandonati nello stabilimento e per quelli che sarebbero generati con la vendita e lo smantellamento dell’impianto”, e della spesa “per il ripristino e la bonifica dell’area”.
E’ quanto si deduce neanche senza tanti giri di parole, da una lettera del sindaco Angelo Riccardi inviata al presidente del Tribunale di Treviso, al commissario liquidatore del Gruppo Sangalli e per conoscenza al presidente della Regione Puglia, nella quale esprime appunto le preoccupazioni del “dopo Sangalli”, dopo cioè lo smantellamento di quello che è stato uno dei gioielli tecnologici ed importante riferimento economico e sociale cessato nel novembre scorso. Il sindaco lamenta come nel Piano di liquidazione non “viene preso in considerazione lo smaltimento dei rifiuti” prodotti “da alcune parti di impianto invendibili perché non riutilizzabili in caso di smantellamento”.
Richiamando analogie con quanto accaduto con lo stabilimento Enichem nel quale ancora oggi si scava per ripulire una discarica dimenticata, Riccardi paventa come “detti immobili rimarranno inutilizzati e abbandonati fino alla fatiscenza, come brutte cattedrali nel deserto. Ancora una volta – rileva – la comunità dovrà accollarsi i costi dell’abbattimento e smantellamento di milioni di metri cubi di cemento, oltre allo smantellamento di tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi”.
Insomma siamo al “de profundis” di una fabbrica che per una ventina di anni ha concorso a tenere in piedi il filone di attività lavorative sulle quali fondare lo sviluppo economico e sociale del territorio. Anche questa attività, come le diverse altre sorte in quest’area, è stata distrutta, sacrificata a vantaggio di altra analoga sorta al nord, senza che il territorio si sia speso, tranne qualche eccezione per dovere istituzionale del tutto formale, per difendere un patrimonio per il quale sono stati impiegati notevoli investimenti pubblici e privati. E’ questa l’ennesima dimostrazione che da queste parti questo tipo di sviluppo che in tutti gli altri luoghi attecchiscono e si fa in modo di potenziare, non è niente affatto considerato. Per questa vertenza, così come per le tante altre analoghe, non c’è mai stato interessamento, una presa di posizione delle varie componenti della cosiddetta “società civile”. I silenzi a nascondere, ma non tanto, quello che è lecito ritenere sia una “soddisfazione” che anche questo presidio del lavoro sia saltato e altre duecento famiglie finite sul lastrico. Del tutto di segno contrario l’atteggiamento e le iniziative della gente del nord a protezione e sviluppo delle proprie fabbriche dove i nostri concittadini sono costretti ad emigrare per guadagnarsi il tozzo di pane.
A difendere il posto di lavoro e attraverso esso il diritto di una terra a percorrere tutti sentieri del progresso e dello sviluppo, i lavoratori di quel presidio che con voce sempre più roca per averlo gridato a dritta e a manca, evidenziano come “in questa vicenda sia configurata tutta la questione meridionale: si continua, come dal dopo guerra a questa parte, a voler indirizzare, complice la nostra gente, le scelte verso il nord a scapito del sud nonostante il mercato giustifichi la piena attività produttiva del nostro stabilimento. La Regione del Friuli evidentemente ha maggiormente a cuore le sorti dei propri cittadini”.
Michele Apollonio

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