L’esercito degli “invisibili” dei campi si trasforma in numeri nel rapporto di Medu – Medici per i diritti umani e Cgil. Dati e cifre che da una part
L’esercito degli “invisibili” dei campi si trasforma in numeri nel rapporto di Medu – Medici per i diritti umani e Cgil. Dati e cifre che da una parte aiutano a segnare le coordinate di queste presenze (Quanti sono? Da dove vengono? Dove hanno trovato lavoro? In che modo?), dall’altro accendono i riflettori sui fenomeni relativi al capolarato e al lavoro nero, da sempre piaghe della Capitanata, terra ad alta vocazione agricola.
Analizzando i dati dal 2012 al 2015, emergono alcune peculiarità, in primis che la percentuale di migranti sul totale dei lavoratori censiti negli elenchi anagrafici. Un altro dato riguarda la presenza dei migranti nei vari Comuni della nostra provincia, con picchi consistenti, in quelli a particolare vocazione agricola (orticola). Si registrano infatti punte di presenze pari al 70-80%, con alcuni esempi emblematici, solo per citare qualcuno, Lesina dove la presenza dei lavoratori migranti sul totale rappresenta il 92,1 %, Apricena con il 76%, Foggia con il 70,5%, Manfredonia con il 62,9%.
Un punto cruciale è la percentuale di migranti che superano le 51 giornate (soglia minima per aver diritto alla disoccupazione agricola) che come dato medio non supera il 25,2% dei totali, mentre per gli autoctoni detto dato si attesta al 74,7% (dato medio). Provando a fare una sintesi di questi elementi, emerge che oggi in Provincia di Foggia, in agricoltura, vi è una presenza non trascurabile, ed in alcuni casi prevalente, se non addirittura esclusiva, di lavoratori migranti, per i quali non vengono dichiate neanche le giornate reali, al fine di ottenere il diritto alla disoccupazione agricola.
Se alla condizione di sfruttamento e di pressoché totale soggezione al caporale si associa la valutazione relativa alla presenza di migranti senza regolare assunzione e senza permesso di soggiorno, la stima empirica assume i tratti di una tragedia umanitarie. Infatti se diciamo che nel periodo estivo (pomodoro), la presenza di irregolari arriva a 10-15 mila unità forse corriamo il rischio di sbagliare, per eccesso o difetto, tra il 5 e il 10%.
Questi dati, apparentemente distanti gli uni dagli altri, possono darci una chiave di lettura soprattutto se proviamo a fare qualche stima economica. Considerata una superficie coltivata a pomodoro nel 2013 (dato certo) di circa 27.000 ettari, e tenuto conto che un ettaro produce dai 700 ai 1500 quintali, possiamo calcolare che la produzione territoriale complessiva si attesta a circa 27 mln di quintali (media 1.000 ad ettaro). Trasformando 27 mln di quintali in cassoni, arriviamo ad un quantitativo di circa 9.000.000 di binz (casse da 3 quintali utilizzate per il trasporto del pomodoro).
Ogni lavoratore migrante raccoglie mediamente 1 cassone (binz)/ora, con un dato medio giornaliero di 10 cassoni, il che equivale a circa 900.000 giornate lavorative. Poiché il periodo di raccolta del pomodoro dura sostanzialmente 2 mesi (giugno-luglio), si arrivano a stimare circa 15.000 giornate lavorative/giorno, il che significa, che ogni giornata di raccolta del pomodoro troviamo almeno 10-15 mila lavoratori (quasi esclusivamente migranti), dove ovviamente non tutti sono assunti e/o regolari.
Cosicché, analizzando i dati, se è vero che il solo pomodoro sviluppa 9.000.000 di cassoni, e praticamente quasi tutti i migranti lavorano sotto caporale, il caporale specula da ogni “proprio schiavo” da 1 a 2 € a cassone, a seconda di quanto è produttivo il campo. Di conseguenza, la mole di illeciti legati alla sola raccolta va da 8 a 18 milioni di euro. Se a questi aggiungiamo che per 60 giorni (900.000 giornate) il caporale accompagna gli schiavi a lavoro (circa 5 euro a viaggio), totalizziamo altri 9 milioni di euro.
Se aggiungiamo che i caporali gestiscono le abitazioni (ghetto), e ovviamente si fanno pagare il fitto (circa 200 euro mese a testa), volendo considerare il solo ghetto di Rignano sono altri 500.000 €. Se aggiungiamo ancora che i caporali speculano anche sul panino che forniscono ai propri schiavi con altri 2-3 € di rincaro medio per singolo panino fornito, si generano altri 2,7 milioni di euro (sempre rapportato ai circa 15.000 migranti giorno per 60 giorni di lavoro).
Se aggiungiamo anche che il caporale specula anche sulla ricarica elettrica del telefono cellulare (circa 3 euro a ricarica), considerando una stima media di una ricarica ogni 2 giorni orientativamente non mi discosto dalla realtà se diciamo che il caporalato specula un altro milione di euro, ed ometto la speculazione sull’acqua potabile. Dalla semplice somma matematica di ricava che la quantità di denaro che gira intorno al caporalato nel solo periodo della raccolta del pomodoro va dai 21 ai 30 milioni di euro.
A fronte di questa cifra, consideriamo poi, che i braccianti immigrati in 2 mesi di lavoro sulla base dei stessi dati, forse arrivano a guadagnare intorno ai 27-36 (da 3 a 4 euro per cassone raccolto) milioni di euro, dai quali vanno, detratte tulle le speculazioni del caporalato, i conti sono fatti al singolo schiavo vanno circa 400-500 € in 2 mesi di lavoro (circa 6-7 milioni di euro in 60 giorni) tutto il resto va nelle tasche del sistema perverso del caporalato.
“Questa è la nostra terribile, dura realtà – spiegano dal sindacato – la realtà per la quale pensiamo che il ruolo del sindacato debba essere anche quello di indirizzo politico oltre che di tutela collettiva. Urge, dunque, individuare vie d’uscita per dare respiro e prospettiva ad un settore nevralgico per il nostro territorio. Un settore, che, rispetto alle coltivazioni presenti, potrebbe dar lavoro per oltre 14 milioni di giornate a fronte delle scarse 4 milioni denunciate nel 2013. Questi dati devono suscitare riflessioni approfondite. Soprattutto, visto che vi è una differenza di circa 10 milioni di giornate, la domanda che ci dobbiamo porre è: queste giornate da chi sono impiegate? E’ lavoro nero e/o grigio?”.
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