Storia di un diseredato vive al Pronto Soccorso

Da circa tre mesi il suo riparo è il pronto soccorso dell’ospedale di Manfredonia. Nell’angolo tra la porta d’ingresso e una parete divisoria sono amm

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Da circa tre mesi il suo riparo è il pronto soccorso dell’ospedale di Manfredonia. Nell’angolo tra la porta d’ingresso e una parete divisoria sono ammucchiati i suoi pochi indumenti e una coperta che gli hanno fatto da giaciglio prima di poter disporre di una lettiga sulla quale, a mò di letto, può distendersi: gliel’ha procurata il responsabile del pronto soccorso. Per un pasto caldo si reca di mattina alla mensa della Croce e di sera a quella della parrocchia Sant’Andrea.

Protagonista di questa vicenda è A. B., un uomo di 46 anni ridotto a vivere in questo modo dopo una serie di vicissitudini personali che lo hanno portato, nel corso degli anni, a fare anche l’esperienza del carcere: quest’ultima -dice- costatagli il gruzzoletto ereditato alla morte dei genitori che lo Stato ha incassato per le spese a lui addebitate.Nonostante ripetuti interventi dei carabinieri che lo hanno più volte obbligato a sgombrare dal pronto soccorso, A.B. ha continuato a farvi ritorno perché non ha altro posto dove andare: “cacciarlo non è servito a nulla perché non è questa la soluzione del problema. Noi del pronto soccorso -spiega il medico di turno- non ce la sentiamo di mandarlo via, anche perché non vogliamo sentirci responsabili se, mentre girovaga per strada, gli accadesse qualcosa di grave a causa delle sue compromesse condizioni fisiche e di salute”.

Tuttavia il bivacco non può continuare vita natural durante e qualche settimana fa è partita. proprio a firma del dottor C.P.. una lettera indirizzata al Sert (che segue il soggetto in relazione alla sua dipendenza da alcol), ai servizi sociali del comune di Manfredonia e alla direzione generale dell’Asl.A.B. non ha più i genitori ma ha dei fratelli che vivono e risiedono a Manfredonia e che in passato non si sono sottratti dall’aiutarlo e dal sostenerlo, anche economicamente, ma senza il successo sperato. “Non è concepibile lasciare ai soli parenti una presa in carico che non saranno mai in grado di portare avanti da soli…

Per le persone che soffrono di dipendenza da alcol, che non hanno più fissa dimora e che patiscono un grave disagio sociale -afferma la sorella di A.- occorrono percorsi di recupero individualizzati e interventi integrati da attuare in collaborazione tra più soggetti. Nostro fratello, inoltre, è affetto da una particolare patologia peraltro ampiamente documentata. In conclusione, non dovremmo essere noi a spiegare come affrontare i bisogni di salute di soggetti che si trovano nelle stesse condizioni di A., quali strategie di recupero adottare e come fronteggiare l’esclusione sociale cui sono condannati”.A. vive alla giornata, assumendo farmaci per le crisi epilettiche e ingerendo alcol per quelle depressive. Ma nei momenti di lucidità, per fortuna ancora numerosi, fa capire che non ha perso la speranza di rivincita: gli serve una sistemazione (“mi basta una sola stanza” dice) e una piccola occupazione per poter dimostrare a se stesso e agli altri che ancora può farcela.

Annamaria Vitulano
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