Patto per la Puglia: ecco la mappa degli investimenti. A Bari il 23% e a Lecce il 22%

La strategia che punta a investire sulle infrastrutture strategiche va di pari passo con l’allocazione di risorse a sostegno del sistema del welfa

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La strategia che punta a investire sulle infrastrutture strategiche va di pari passo con l’allocazione di risorse a sostegno del sistema del welfare. Ma sono in realtà le imprese i primi beneficiari delle risorse del Patto per la Puglia firmato sabato scorso. Gli allegati all’intesa, in uno con i dati della Regione che riclassificano gli interventi in base a sette priorità strategiche (il Dipartimento per gli affari Europei di Palazzo Chigi distingue invece dodici «aree di intervento») permette di rileggere i numeri alla luce dell’allocazione «politica» che il governatore Michele Emiliano ha riassunto parlando di «strategia di sviluppo sostenibile». Ma è possibile ricostruire anche l’allocazione geografica, intendendo la localizzazione degli interventi previsti: a fronte dei 6 miliardi complessivi tra Fondo sviluppo e coesione e Piano operativo complementare, circa metà sono infatti «territorializzabili».

Il primo destinatario dei fondi sono dunque le imprese, cui sono destinati a vario titolo 829 milioni di euro che vanno a sostenere gli incentivi previsti dagli accordi di programma e più in generale dagli strumenti di sostegno agli investimenti. La stessa Regione otterrà qualcosa in più, circa 900 milioni, ma con un importante distinguo: ai 531 milioni destinati prevalentemente a infrastrutture (sia in forma diretta, sia attraverso bandi o contributi a sportello per i Comuni) si sommano altri 370 milioni destinati al sistema del welfare. Si tratta in particolare degli interventi relativi a Patto di cura, sostegno al reddito e contrasto alla povertà, Piani per la conciliazione vita-lavoro: strumenti costruiti per superare la logica del sussidio a pioggia verso un sistema dei servizi.

Nella classifica dei beneficiari segue Acquedotto Pugliese, che si conferma principale soggetto attuatore degli interventi regionali. I 310 milioni sono spalmati su 24 progetti che vedono in testa il dissalatore del Tara (70 milioni) e il potenziamento del depuratore di Taranto Gennarini (37), seguiti dal potenziamento dell’impianto di sollevamento di Torre del Diavolo (20 milioni) che attende dal 2020. Segue, tra i beneficiari, l’Anas per il progetto di ampliamento e messa in sicurezza di 37 km della statale 275 Maglie-Leuca da 229 milioni, il singolo più importante progetto previsto nel Patto e inizialmente allocato sulla quota nazionale dei fondi Fsc poi «prosciugata» dal governo per finanziare il primo stralcio del ponte sullo Stretto di Messina.

La Puglia ha lavorato per mesi nel confronto con gli uffici dell’ex ministro Raffaele Fitto, che ha fatto pesare tanto il ruolo quanto le nuove regole in materia di Fsc: permettono a Palazzo Chigi di definanziare tutte le opere per le quali non risulta rispettato il cronoprogramma concordato tra Regioni e governo. In questo senso la Puglia ha il vantaggio di aver inserito nell’accordo iniziative generalmente già cantierabili o addirittura (pensiamo alla Camionale di Bari, destinataria nel Patto di 80 milioni di finanziamento integrativo) già in fase di «messa a terra».

È utile guardare l’accordo anche dal punto di vista delle linee strategiche pugliesi. In questo senso, ancora una volta, primeggia lo Sviluppo economico. Dal Patto arrivano 1,25 miliardi, le risorse necessarie a chiudere il vecchio ciclo di programmazione dei fondi europei 2014-2020 e a dare sfogo ai progetti già presentati che assommano a 1,4 miliardi di investimenti complessivi di cui il 30% riguardano ricerca e sviluppo: in questo senso dal Patto arrivano ad esempio i fondi per la «cell factory» e il centro di ricerca sul cambiamento climatico (entrambe previste a Lecce), ma anche per lo Spazioporto di Grottaglie che ha portato la premier Giorgia Meloni a paragonare Michele Emiliano a Elon Musk. Seguono gli interventi sul sistema dei trasporti (1,2 miliardi) in cui c’è il nocciolo dei progetti infrastrutturali su strade, porti e ferrovie, sullo sviluppo degli aeroporti ma anche 98 milioni per l’acquisto di nuovi autobus a basso impatto ambientale e 20 milioni per i mitici treni a idrogeno.

Segue la Transizione ambientale, con 1,1 miliardi destinati al tentativo di risolvere l’emergenza rifiuti (chiusura delle discariche, completamento e ammodernamento degli impianti di trattamento), migliorare le reti di acquedotto e quelle di irrigazione, e anche investire sulla mitigazione del rischio idrogeologico. Al quarto posto la strategia che riguarda Salute e welfare con 957 milioni. Detto dei 380 destinati agli incentivi (sotto varie forme), l’altra fetta va in investimenti sugli ospedali e sulle strutture di cura pubbliche (dalle Rsa ai consultori, dai Centri per la salute mentale al nuovo centro regionale per il parkinson), ma anche sulle infrastrutture che hanno impatto sociale (palazzetti dello sport e campi di gioco, mercati). Spiccano in questa linea 72 milioni di euro per la realizzazione di tre magazzini farmaceutici territoriali (Foggia, Bari, Salento) che dovrebbero ottimizzare la distribuzione (e quindi la spesa delle Asl) per i medicinali.
Resta l’analisi territoriale. Gli investimenti destinati alla provincia di Bari valgono 733 milioni (il 23% della spesa territorializzabile pari a 3 miliardi) contro i 693 milioni di Lecce (22%), i 601 di Foggia e i 598 milioni di Taranto. La «classifica» ricalca quella della popolazione residente, senza però tenere conto dei pesi considerando che nel Barese vive poco meno di un terzo di tutti i pugliesi.

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