IL BALLOTTAGGIO ULTIMO ATTO DI UNA POLITICA ESITANTE

Ci siamo. Manfredonia è arrivata alla fine di quest’altra contesa molto guerreggiata e forse poco ragionata. Nel senso che i contendenti, i quattr

Diesel, il prezzo all’ingrosso torna a correre in vista dello stop ai prodotti russi
Manfredonia Calcio, Rotice: “In bocca al lupo ragazzi!”
“Vieste sei bella ma non cambi mai, stupefatti dalla poca umanità”, la delusione di un’ospite fissa della perla del Gargano

Ci siamo. Manfredonia è arrivata alla fine di quest’altra contesa molto guerreggiata e forse poco ragionata. Nel senso che i contendenti, i quattro candidati sindici iniziali e i due finalisti, con i rispettivi eserciti di aspiranti consiglieri, hanno pensato più a impressionare l’elettore con manifestazioni coreografiche nelle quali sono mancati o sono stati solo in qualche modo accennati, i grandi temi che tengono stretti in una morsa una città che paga pesantemente l’assenza di una classe, prima ancora che dirigente, politica, nel senso di “immaginare” quel che realmente serve alla sua tenuta in prospettiva sviluppo. Il dato disastroso incontestabile che fissa lo stato della situazione, è la perdita di migliaia di manfredoniani scappati altrove: ormai il contatore degli abitanti scala inesorabilmente verso le 53mila unità.
E a chi obbietta che succede un po’ ovunque, c’è chi ribatte che Manfredonia ha risorse qualificanti che se opportunamente attivate sarebbero in grado non solo di sostenere l’esistente, ma addirittura di andare oltre. Manfredonia col suo hinterland farebbe da volano alla stessa provincia. E si citano le due aree industriali attrezzate, il mare con le sue attività (pesca, traffici, balneazione), un agro rigoglioso, il porto, la straordinaria archeologia, i variegati ben culturali e via discorrendo finno ad arrivare al turismo, rimasta una bella parola da citare nelle chiacchierate al bar. Parole come “innovazione”, “resilienza”, “transizione”, “Pnrr” sono rimaste in penombra nel retroterra di una città che non riesce a guardare oltre i propri ristretti confini.
La cosiddetta campagna elettorale è scivolata insipida tra una serie di incredibili contraddizioni disinvoltamente dissimulate dietro argomentazioni che avevano invariabilmente come fine immaginario “il bene dei cittadini”. Fino alle battute conclusive che vedono contrapporsi il rappresentante di un rinnovato centrosinistra, Domenico La Marca, e il rappresentante di una riedizione del centrodestra, Ugo Galli, i quali si sono divisi rispettivamente il 46,64% e il 25,76% dei consensi espressi dai 28.018 manfredoniani che si sono recati alle urne, dei 48.225 iscritti nelle liste elettorali, il 58,18%: l’affluenza più bassa di sempre. Cifre che di per sé tratteggiano eloquentemente il quadro della situazione.
Con il sociologo La Marca in vantaggio e il dirigente regionale Galli ad inseguire. Un tallonamento con un certo affanno considerato che l’alfiere di un ibrido centrodestra ha pensato più che ad esporre e spiegare i propri programmi, a denigrare la parte avversa che invece ha proseguito col suo esponente, nell’impegno di dialogare con la gente. Naturalmente le due fazioni interpretano le rispettive evidenze in modo del tutto personale, ma è altresì del tutto evidente che non sarà agevole colmare o mantenere, quella distanza. Molto dipenderà dal numero dei votanti.
A complicare le cose, per quello che possono valere, sono arrivate le notifiche della Magistratura delle misure adottate nei confronti degli indagati dell’operazione giudiziaria “Giù le mani”, che ha interessato, come noto, in particolare l’ultima amministrazione colpita da pesanti provvedimenti che gettano una gravosa e lunga ombra su Palazzo San Domenico.
Michele Apollonio

COMMENTI

WORDPRESS: 0