Dall’effetto Disneyland ai nonni baby-sitter: così le città si svuotano

«Tutta mia la città / un deserto che conosco» cantava Maurizio Vandelli con l’Équipe 84 nella cover italiana di Blackberry Way. Ma lui si riferiva

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Dall’effetto Disneyland ai nonni baby-sitter: così le città si svuotano

«Tutta mia la città / un deserto che conosco» cantava Maurizio Vandelli con l’Équipe 84 nella cover italiana di Blackberry Way. Ma lui si riferiva a un appuntamento mancato, segno di un amore finito. Quelle malinconiche parole si attagliano a un fenomeno ben più ampio delle pene sentimentali di un singolo individuo. Tante città in Puglia e Basilicata si svuotano per un’emigrazione di risulta. Genitori di età avanzata si trasferiscono altrove per seguire i figli, dapprima come nonni-baby sitter, poi da anziani bisognosi di assistenza. È un autentico fenomeno di desertificazione demografica, che si aggiunge al calo delle nascite. Per quanto riguarda nello specifico la Puglia, poi, su questo giornale sono state pubblicate cifre impressionanti: per un milione e 267mila di persone attive nel lavoro, i pensionati sono un milione 493mila.

Si tratta dell’esito estremo di un trend più complesso del «semplice» flusso migratorio verso il nord, che dal dopoguerra ad oggi scorreva sul mitico asse del Lecce-Milano, allorché mezza Italia diventava la terra promessa dell’altra metà. Ma quelli che adesso arrivano sui gommoni fuggono da guerre, fame, carestie e catastrofi meteorologiche, laddove partire per il triangolo industriale con le valige di cartone comportava anche la ricerca di habitat alternativi agli sfondi agresti, assolati, torrefatti dal sole della latitudine mediterranea. La fuga in direzione delle fabbriche settentrionali avviliva a pallidi fantasmi metropolitani quelli nati per gli orizzonti della pianura pugliese e dell’orografia lucana. Eppure le lotte bracciantili potevano conquistare una nuova dignità al Meridione e trasformarlo nel vero paradiso alimentare del mondo. Invece si preferiva affrontare i disagi climatici e urbani del nord pur di vivere «in città». La terra, la fatica del coltivare, abbrutivano. Per tornare a un riferimento musicale, si ricordi il brano Campagna, del gruppo «Napoli Centrale», dove la voce arrochita e disperata del grande James Senese intona la tragicità del lavorare la terra, «sott’a l’acqua e sott’o viento», contrapposta alle visioni georgiche e idilliache dei salotti radical chic. Mentre la fabbrica, i tram e i filobus davano la possibilità di guardare le vetrine, le luci e i colori di metropoli a imitazione parodistica degli Stati Uniti d’America. Salvo però dover scendere nel sottosuolo al neon per i tratti da farsi in metropolitana. Un atteggiamento che peraltro, sgombrata certa retorica buonista, si dovrebbe attualmente riconoscere nelle motivazioni dei migranti economici.

Si profila quindi la definizione di «effetto Disneyland». È l’attrattiva esercitata dai non-luoghi, così classificati dall’antropologo francese Marc Augé. La perpetuazione dell’identità legata al territorio, al paesaggio, alle radici, viene considerata una palla al piede che impedisce di andare a vedere il mondo oltre le colline… o oltre il mare, nel caso di quanti approdano sulle coste d’Europa dal continente nero. Si vuole accedere all’ingannevole luna park creato dalla globalizzazione. Se in origine la necessità di un lavoro era lo stimolo principale dello spostamento di massa, successivamente emerse, appunto l’effetto Disneyland.

Lo subiscono ancora più giovani laureati che all’estero trovano impieghi maggiormente retribuiti ma con costi della vita più alti. Quando non finiscono piazzaioli, per esempio, a Dublino.

Il Covid provocò un’inversione di tendenza. I figli transfughi fuggivano dal contagio che imperversava al nord. L’informatica permettevano di operare da casa. Si parlava di south working, del non privarsi più del cibo, del tepore e del panorama a misura di radicamento. Durò molto poco. Il Covid scomparve dall’agenda mediatica quando incombevano altri scenari di distrazione di massa, dalla guerra in Ucraina alla recrudescenza del secolare conflitto israelo-palestinese, per finire sulla messa sotto accusa del patriarcato, dilagante da giorni.

Intanto le abitazioni nelle città sono costellate dalla scritta «VENDESI».

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