Il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro frena sulla proposta delle opposizioni di introdurre il salario minimo a 9 euro l’ora, schierandosi
Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro frena sulla proposta delle opposizioni di introdurre il salario minimo a 9 euro l’ora, schierandosi dalla parte del governo. L’ente, guidato da Renato Brunetta, ha ascoltato le obiezioni dell’esecutivo, incassando il parere negativo della Cgil, secondo cui «siamo di fronte a un’emergenza salariale», l’astensione della Uil e il benestare dalla Cisl, contraria all’introduzione della legge perché teme un aumento del lavoro nero e un appiattimento delle retribuzioni medie.
Anche a livello regionale, sindacati divisi tra astensioni e veti. «La decisione del Governo di affidare al Cnel una scelta che è solo politica è stata pilatesca e ancora una volta contraria agli interessi del mondo del lavoro. È palese a tutti tranne che alla destre – commenta Gigia Bucci, segretaria generale di Cgil Puglia – che in Italia c’è una questione di salari poveri, che in 30 anni hanno anche perso potere d’acquisto, negli ultimi anni erosi da inflazione e costi energetici. Al Sud un lavoratore su quattro guadagna meno di 9 euro l’ora, e in Puglia si avverte ancor più forte questa emergenza a causa di settori a basso valore aggiunto e lavori intermittenti».
«Il salario minimo – continua la segretaria regionale della Cgil – è un pezzo della strategia necessaria per affrontare il tema povertà salariale. C’è da mettere mano alle norme del mercato del lavoro e fare pulizia delle forme precarie, c’è da far crescere i settori produttivi sostenendo investimenti in innovazione e competenze. Infine serve una legge sulla rappresentanza che porti a una validazione erga omnes dei contratti stipulati dalle organizzazioni più rappresentative sotto i quali non è possibile andare».
In Puglia, in realtà, da anni la questione salariale è una emergenza concreta. Ne è convinto anche il segretario della Uil Puglia, Gianni Ricci.
«Assistiamo da mesi a una politica intenta ad avvitarsi in una discussione accesa, ma nei fatti sterile, rispetto al salario minimo. Per quanto ci riguarda la nostra posizione è fin troppo chiara: in Italia esiste lo strumento del contratto nazionale. Bene, se il salario minimo coincidesse con il minimo salariale previsto dai contratti nazionali, probabilmente avremmo una linea più definita ed un punto di partenza più efficace per risolvere la questione salariale in Puglia e in generale nel nostro Paese. Ciò a patto, però, che i contratti nazionali di riferimento siano quelli sottoscritti dai sindacati più rappresentativi, onde evitare dumping salariali che di fatto sortiscono l’effetto diametralmente opposto».
«La questiona salariale – aggiunge Ricci – è urgente per dare una prospettiva credibile a tanti giovani pugliesi, una prospettiva di occupazione stabile e sicura. Non è un caso che l’Istat abbia certificato che negli ultimi 20 anni la componente giovanile (18-34 anni) nella nostra regione è drasticamente diminuita di quasi il 30% a causa della sempre più imponente fuga di cervelli e della denatalità crescente, e che un giovane su 7 in età lavorativa vive ancora in famiglia. Tutte conseguenze di una insicurezza e di un precariato dilagante che non consentono ai giovani lavoratori di fare piani per il futuro, con il rischio sempre più concreto dell’invecchiamento precoce e della desertificazione occupazionale del territorio, condizioni che renderebbero impossibile ogni progetto di sviluppo del territorio regionale, aumentando il gap con realtà più competitive come quelle settentrionali ed europee».
Sulla decisione del Cnel è intervenuto anche Carmelo Rollo, presidente di Legacoop Puglia, la Lega nazionale delle cooperative e mutue, la più antica e una delle principali associazioni di tutela e rappresentanza delle cooperative italiane,
«Sul salario minimo, a mio avviso, si è voluto discutere il tema iniziando dalla fine, ovvero dall’effetto e non dalla causa. Noi siamo e restiamo convinti – spiega Rollo – che la discussione non possa prescindere dal sistema della contrattazione collettiva che deve restare centrale, come anche il Cnel ha ribadito. Da quel perimetro noi non usciamo. Nel frattempo, però, va detto che fuori da quel perimetro ci sono molti contratti di organizzazioni meno rappresentative che applicano paghe basse facendo dumping. E questo è un problema, sul quale occorre lavorare e avviare un confronto serio». «Quindi . conclude il presidente di Legacoop Puglia – la risposta al lavoro povero non può essere limitata alla definizione di una paga oraria minima quanto piuttosto estendendo la contrattazione collettiva alle categorie al momento ancora scoperte. Per lavorare su questo tema occorre partire da una legge sulla rappresentanza grazie alla quale restituire universalità ai contratti nazionali firmati dalle principali organizzazioni. Una richiesta che noi in Puglia abbiamo avanzato da tempo, ma al momento non ancora raccolta».
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