Salute: l’indagine, 60% italiani convive con disturbi psicologici

 Il 60,1% degli italiani convive da anni con uno o più disturbi della sfera psicologica. Ne soffrono di più le donne (65%) e i giovani della Generazio

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 Il 60,1% degli italiani convive da anni con uno o più disturbi della sfera psicologica. Ne soffrono di più le donne (65%) e i giovani della Generazione Z (75%, con punte addirittura dell’81% nel caso delle donne). È la drammatica fotografia del nostro Paese scattata dall’Inc Non Profit Lab (il laboratorio di Inc – Pr Agency Content First dedicato al terzo settore), con la ricerca “L’era del Disagio”, realizzata, in collaborazione con AstraRicerche, tra gli italiani e le organizzazioni non profit con il patrocinio di Rai per la Sostenibilità-Esg e presentata questa mattina nella sede Rai di viale Mazzini a Roma.

I sei problemi più ricorrenti di cui dicono di aver sofferto i nostri connazionali – emerge dalla ricerca – sono i disturbi del sonno (32%), varie forme d’ansia (31,9%), stati di apatia (15%), attacchi di panico (12,3%), depressione (11,5%) e disturbi dell’alimentazione (8,2%). A questi disturbi gli italiani reagiscono con un preoccupante “fai da te”. Le prime quattro risposte alla domanda “cosa hai fatto per uscirne?”, infatti, escludono il supporto di medici e specialisti: c’è chi ha cercato le risorse per farcela dentro sé stesso (29,4%), chi ha ricevuto aiuto da amici e parenti (29,1%), chi semplicemente ha atteso che i problemi passassero (28,2%) e chi ha assunto prodotti e farmaci senza prescrizione (27,6%). Solo al quinto e al sesto posto compaiono le voci “mi sono rivolto al medico generico” (22,9%) e “ho ricevuto l’aiuto di uno specialista” (22,1%).

Ad alimentare il disagio, per il 35,1% è la preoccupazione per un mondo che sta cambiando in peggio (guerra, povertà, inflazione, crisi climatica, emergenza sanitarie), seguita due diverse forme di difficoltà a relazionarsi con il mondo, molto sentite soprattutto dai giovani della generazione Z: chiusura in sé stessi (34,1%) e difficoltà a relazionarsi con gli altri (25,1%). E ancora, spaesamento per la mancanza di valori sociali condivisi (23,4%), insoddisfazione per i propri percorsi professionali (22,4%, con valori più alti da parte dei Millennial) e reazione a pressioni sociali troppo forti su obiettivi scolastici o sportivi (22,3%).

Inoltre, a minacciare il benessere psicologico collettivo degli italiani è un forte stress da lavoro (quando c’è, è troppo pervasivo) o da disoccupazione, se non si riesce a trovarlo (46,5%); il bullismo e la violenza, fisica e verbale (42,1%) e la dipendenza dalla tecnologie e dai social media (35,6%); il timore di abusi sessuali e violenza di genere (31,1%); la mancanza di accesso ai servizi sanitari di tipo psicologico e psichiatrico (30,6%); alcune gravi forme di discriminazione come razzismo, omofobia e sessismo (28%).

Anche le Organizzazioni Non Profit testimoniano quest’aggravarsi del disagio. Per il 79% delle 40 Onp coinvolte nell’indagine, il disagio psicologico degli italiani negli ultimi anni è molto aumentato e nel 70% dei casi i loro servizi offerti per fronteggiare questa emergenza sono (molto o abbastanza) aumentati. Solo il 43% degli enti ha avuto fondi pubblici e appena il 3% li ha ritenuti adeguati alle proprie esigenze.

“La pandemia – spiega il vicepresidente di Inc, Paolo Mattei – ha creato la ‘tempesta perfetta’ per far esplodere un male oscuro che covava, da decenni, nella nostra società. E sarebbe sbagliato cercare di risolvere la complessità del fenomeno, scaricandone la responsabilità su un fattore imprevedibile ed eccezionale come la pandemia. I mali della nostra società sono molti, ben descritti nella ricerca che abbiamo realizzato. E rimandano a cause di tipo culturale e sociale che solo una volta analizzate e comprese, potranno essere efficacemente affrontate a livello collettivo”. “Dal nostro Rapporto emerge anche che c’è bisogno di una comunicazione più all’altezza della rilevanza e complessità del tema e della dimensione che questo sta assumendo – sottolinea il presidente di Inc, Pasquale De Palma – Tutti noi comunicatori siamo chiamati a contribuire a una narrazione del disagio più attenta e più efficace, perché a volte, se non spesso, il modo in cui il disagio viene comunicato non aiuta”.

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