Prima il chiacchiericcio, poi le prime conferme. Il dubbio si è trasformato certezza, già nella tarda serata di martedì. Lo stop di tre anni della pes
Prima il chiacchiericcio, poi le prime conferme. Il dubbio si è trasformato certezza, già nella tarda serata di martedì. Lo stop di tre anni della pesca dei ricci di mare in Puglia, decisa in Consiglio regionale, non ha lasciato indifferenti quanti, con il mare e i suoi frutti, hanno un rapporto principalmente economico. D’altronde il riccio appartiene alla tradizione gastronomica della Puglia. Nei mesi con la ‘R’, come ci hanno insegnato quando eravamo piccoli. Il principio era dare, nel periodo del fermo biologico, il tempo ai ricci di crescere e di raggiungere la dimensione giusta per essere poi pescati. Era così anni fa, quando con i primi raggi tiepidi di sole, si inaugurava la stagione marinara su un tavolino di plastica, con il pane di Altamura. Poi, i ricci – aperti sui vassoi agli angoli delle strade di molte città pugliesi – non sono mai spariti. Tanto meno nei mesi stabiliti dalla legge. Sempre più piccoli e sempre più vuoti.Una tradizione lunga quella dei ricci che attinge le sue radici già negli antichi greci prima e romani poi. Quinto Orazio Flacco sosteneva che i ricci migliori erano quelli del Miseno. Sono state rinvenute tracce del loro consumo già nel Neolitico all’interno dei nuraghi sardi. Da un secolo all’altro, passando da un popolo all’altro, il Paracentrotus lividus, noto come «riccio femmina», di cui si consumano solo le gonadi mature, voluminose e di colore arancione, hanno conquistato un posto insostituibile nelle abitudini e nei gusti dei pugliesi.
«Stiamo distruggendo tutto – tuonano al mercato di via Brigata Regina- nel nostro mare». Secondo Pasquale di Terlizzi, quella della regione Puglia, è una scelta giusta: «Nessuno segue le regole e questi sono i risultati». Fanno spallucce, dalle bancherelle, gli ambulanti vicini. «Il mare dà e il mare toglie», prosegue Antonio che al mercato sta facendo la spesa e si unisce al coro ad unisono degli ambulanti. «Oggi i ricci pugliesi sono vuoti e piccoli e costano tanto. I clienti non sono disposti a comprarli perché non sono più quelli di un tempo».
Di opinione differente Giovanni De Benedictis proprietario della Pescheria del centro. «Questa legge penalizza solo la Puglia – spiega – io sono anche d’accordo sul fatto che la pesca dei ricci debba essere bloccata ma così favoriamo il mercato estero». Secondo De Benedictis, infatti, non mancheranno sulle tavole dei pugliesi quelli francesi e spagnoli. «I ricci della Galizia – sottolinea – costano sino a 3 euro l’uno in pescheria. O questo blocco si fa a livello globale, dato che i ricci non sono più gli stessi da tempo, o non serve a nulla».
Sulla costa sud di Bari verso Savelletri e Torre Canne, dove sono tantissimi i pugliesi, in particolare baresi e brindisini, che si riversano nei ristoranti e nei chiringuito per mangiare ricci al sole, gli umori sono differenti. «Per me è giusto – sostiene una storica ristoratrice della zona -. In mare non ce ne sono più. Quelli che raccolgono sono piccoli e i costi restano alti. Io li acquisto dall’estero e vi assicuro che non sempre sono saporiti. È arrivato il momento di fermarsi e dare la possibilità al mare di fare il suo. Oltretutto i prezzi sono slittati e non tutti sono disposti a pagare un riccio così tanto». Secondo l’imprenditrice, inoltre, per lungo tempo nessuno ha rispettato il fermo e questo ha determinato la situazione attuale. Della serie inutile piangere sul latte versato: «Abbiamo tanto altro da offrire alla nostra clientela. Continuare a vendere i ricci nel periodo estivo, è assurdo». Gli fa eco un altro collega che lavora a Torre canne: «Sono anni che sulle tavole dei nostri ristoranti ci sono solo ricci di provenienza estera. I ricci nostrani finiscono a fine febbraio. Poi ciò che acquistiamo proviene dalla Croazia, dalla Grecia. A volte anche dalla Sicilia».
Per Fabrizio Tregua, proprietario de «Il Porticciolo» di Brindisi, quello dei ricci è diventato un mercato difficile e non soddisfatta la clientela: «Sono assolutamente d’accordo con il fermo. Avrebbero dovuto decidersi prima. Troppo alta la domanda per soddisfarla. Oltre tutto – spiega – esiste un mercato difficile da controllare. Se a questo aggiungi che i costi sono aumentati e la qualità è scesa, c’è poco da lagnarsi».
La pesca selvaggia da una parte, quindi, e il fermo biologico caduto nel dimenticatoio dall’altro. Oggi il mare pugliese chiede tregua. In attesa di tempi migliori. «La speranza – tuonano all’unisono – è che la legge venga fatta rispettare. Altrimenti il nostro sacrificio sarà stato vano».
LA BIOLOGA CECERE: CI VOGLIONO 5 ANNI PER AVERLI DI DIMENSIONI PESCABILI
Ester Cecere, biologa marina, prima ricercatrice del Cnr di Taranto, la legge sul fermo della pesca dei ricci è passata, ora i pugliesi dovranno rinunciare a quelli nostrani almeno per i prossimi tre anni. Perché si è arrivati a questo?
«La proposta prima e la legge dopo, si sono basate sull’osservazione della diminuzione, addirittura dell’80 per cento, della densità di popolazione degli echinodermi eduli nella fascia batimetrica tra i 3 e i 20 metri.
La pesca del riccio di mare è stata sino ad ora regolata dal decreto ministeriale del 12 gennaio 1995, che consentiva ai pescatori sportivi in apnea di praticarla solo manualmente. Con delle differenze: il pescatore professionale non poteva catturare giornalmente più di mille esemplari, il pescatore sportivo non più di cinquanta. Senza dimenticare che la taglia minima di cattura del riccio non poteva essere inferiore a 7 centimetri di diametro totale, compresi gli aculei. Regole necessarie perché i ricci impiegano almeno cinque anni per raggiungere i 7 centimetri di diametro. Queste misure evidentemente non sono state sufficienti».
Il declino della popolazione del riccio di mare è un problema solo pugliese?
«Assolutamente no. Il ricercatore israeliano Erez Yeruham, del Laboratorio di Ricerche Oceanografiche e Limnologiche di Haifa, ha affermato che negli ultimi venti anni, lungo le coste israeliane e libanesi, la popolazione si è drasticamente ridotta. A determinare questa allarmante riduzione non è stata solo la pesca eccessiva, ma anche la competizione alimentare con il pesce coniglio, specie aliena altamente invasiva e l’aumento, di oltre 3°C, della temperatura del mare. La temperatura ottimale di accrescimento dei ricci, infatti, è compresa tra i 18 e 22°. A temperature superiori, la crescita rallenta per arrestarsi a 28°. La velocità di accrescimento stimata è pari a 1 centimetro l’anno. Ai fini della protezione delle popolazioni di Paracentrotus lividus, è di estrema importanza l’individuazione della taglia minima degli individui da pescare».
Considerando la situazione attuale, perché non pensare ad allevarli?
«Qualche anno fa, al Talassografico Irsa Cnr di Taranto, fu condotto il Progetto Report (Riduzione dell’Epibiosi attraverso la Policoltura di Ostriche e Ricci nei mari di Taranto), che si proponeva di allevare contemporaneamente due specie eduli: l’ostrica nostrana (Ostrea edulis) e il riccio Paracentrotus lividus che, nutrendosi di alghe e piccoli animali, avrebbe ripulito le valve delle ostriche sui quali i primi si insediano. In effetti, l’azione pulente dei ricci è stata notevole, ma i suoi lunghi tempi di accrescimento non ne rendono l’allevamento economicamente sostenibile. Nel Centro marino internazionale di Torregrande in Sardegna, già dal 2017 si sta tentando di allevare i ricci promuovendone la riproduzione in laboratorio. A tal riguardo, i problemi sono rappresentati dal basso tasso di sopravvivenza di larve e individui giovanili e dal ridotto numero di larve che vanno incontro a metamorfosi. Infatti, dalle uova fecondate deriva una larva planctonica che dà luogo a un piccolo riccio che diventa bentonico. Proprio per questo motivo, i progetti attualmente condotti più che all’allevamento del riccio, mirano al suo ingrasso, o meglio alla maturazione e al conseguente aumento di dimensioni delle gonadi».
La legge approvata sortirà effetti positivi?
«Sì. Ben venga il fermo di tre anni della pesca del riccio di mare lungo le coste pugliesi. A noi, come sempre, l’invito a un consumo responsabile e a una costante sorveglianza».
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