Manifatturiero, Puglia in affanno: «perse» 850 aziende

Le città che cambiano con sempre meno artigiani e sempre più spese da fronteggiare: un trend che, nonostante i crediti d’imposta, i bonus, le riduzion

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Le città che cambiano con sempre meno artigiani e sempre più spese da fronteggiare: un trend che, nonostante i crediti d’imposta, i bonus, le riduzioni delle accise, degli oneri di sistema e le altre agevolazioni, sta pensando (e non poco) sul settore manifatturiero.

In Puglia, addirittura, sono «scomparse» 850 imprese nel manifatturiero che, insieme al suo indotto, pesa più del 50% del Pil ed è sempre stato l’asse portante dell’economia italiana. Da 24.288 attività manifatturiere (al 28 febbraio 2022) pugliesi, infatti, ora se ne contano 23.438. I dati (che si riferiscono alle aziende iscritte in Camera di Commercio, ad eccezione di quelle inattive e di quelle sottoposte a procedure concorsuali) sono quelli forniti da uno studio effettuato per la Gazzetta dal data analyst Davide Stasi.

Manifatturiero, Puglia in affanno: «perse» 850 aziende

 

«Purtroppo – spiega l’analista – non sono bastate le misure finalizzate a mitigare l’impatto del “caro energia” che hanno determinato effetti, in termini di indebitamento netto, per oltre 60 miliardi di euro. Per la precisione, sono stati impegnati 60 miliardi 467 milioni di euro di deficit solo nell’esercizio 2022. A tanto ammontano i costi delle norme emanate con l’obiettivo di attenuare la spesa energetica di famiglie ed imprese, ma che hanno comportato pesanti oneri per la finanza pubblica».

In particolare, in provincia di Bari si sono «perse» 436 attività manifatturiere (da 10.751 a 10.315), pari a un tasso negativo del 4,1%; nel Brindisino -14 attività (da 2.134 a 2.120) che corrisponde a un tasso negativo dello 0,7%; in Capitanata -148 attività (da 3.246 a 3.098, 4,6%); in provincia di Lecce -256 attività (da 5.334 a 5.078, 4,8%). In controtendenza solo Taranto +4 attività (da 2.823 a 2.827) che corrisponde a un tasso positivo dello 0,1%.

«Prima la pandemia, poi la crisi energetica e infine le conseguenze della guerra. Il nostro comparto manifatturiero, composto per la quasi totalità da microimprese, aziende artigiane e piccole e medie imprese – commenta il presidente di Confartigianato Puglia, Francesco Sgherza – si è trovato a fare i conti con una serie di eventi concatenati che hanno colpito duramente la loro capacità di resistenza, già lungamente provata. L’aumento dei costi delle materie prime combinato con quello della bolletta energetica, in particolare, è stato un uno-due devastante, che non ha risparmiato nessuno: l’escalation è stata tale da non poter essere gestita con un aumento dei prezzi dei prodotti finali».

«Molte imprese – continua Sgherza – si sono letteralmente trovate fuori mercato da un giorno all’altro e la sensazione, purtroppo, è che gli effetti di questa situazione non si siano ancora completamente palesati. Come Confartigianato siamo stati tra i primi a dare l’allarme, ben prima che iniziasse il conflitto in Ucraina. A livello nazionale come a livello locale, abbiamo ragionato non solo su strumenti che consentissero di alleviare la situazione contingente, ma anche su soluzioni a lungo termine, tese ad evitare che simili eventi possano verificarsi nuovamente in futuro».

«La modifica di alcuni avvisi regionali in chiave di sostegno all’efficientamento energetico delle aziende è andata in questa direzione. Ci impegneremo – conclude il presidente di Confartigianato Puglia – affinchè la nuova programmazione regionale 2021-2027 dei fondi comunitari, presentata in questi giorni, consenta alle nostre imprese di completare agilmente e con rapidità quella transizione energetica indispensabile per mettere in sicurezza il tessuto produttivo pugliese».

Le spese per i fabbisogni energetici, in particolare, sono state insostenibili. Molti imprenditori locali si trovano davanti a un bivio: proseguire l’attività, indebitandosi, oppure sospenderla, rimanendo in attesa di tempi migliori per ripartire o chiudere definitivamente.

«Il manifatturiero pugliese è in agonia – aggiunge il data analyst Davide Stasi -. I rincari dei prezzi energetici e delle altre materie prime hanno accresciuto troppo i costi a tal punto da portare alla chiusura di molte aziende e di mettere a rischio la sopravvivenza di tante altre».

Resta troppo grande l’incertezza di non farcela per l’accumulo progressivo dei debiti che crescono mese dopo mese, anche a causa dei costi e di una concorrenza sempre più agguerrita, favorita dalla globalizzazione.

Tant’è che, già ancor prima dello scoppio della guerra in Ucraina, il manifatturiero pugliese arretrava, registrando un’emorragia di imprese industriali ed artigianali. Il settore della trasformazione che è quello più energivoro è messo alle corde dall’impennata dei costi.

«Dopo la pesante caduta del Pil, causata dal blocco delle attività produttive per contenere la diffusione del Covid-19, l’attività industriale sembrava ripartire», ricorda Stasi. «Gli effetti della pandemia e della recessione sono stati e sono tuttora fortemente diseguali tra le aree del Paese (tra il Nord e il Sud), ma se l’analisi, invece, viene effettuata per comparti e non per territori, quello manifatturiero che è il più dipendente da petrolio, gas e altre commodity rischia di dissolversi, perdendo capitale umano, risorse e competenze che si tramandano di generazione in generazione».

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