In Puglia e Basilicata la mala ha eroso 16 punti di crescita

L’arresto di Matteo Messina Denaro dopo trent’anni di latitanza ci riempie di giusta soddisfazione. Qualcuno potrà magari nutrire dubbi sulle modalità

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L’arresto di Matteo Messina Denaro dopo trent’anni di latitanza ci riempie di giusta soddisfazione. Qualcuno potrà magari nutrire dubbi sulle modalità della cattura, ma intanto un fatto è certo: un pericoloso e crudele assassino è stato, come si dice, assicurato alle patrie galere. Le ragioni della nostra contentezza non devono tuttavia riguardare la sola sfera morale, al grido di: giustizia è fatta! Tutte le volte che viene inflitto un colpo alla criminalità organizzata è il benessere economico dei cittadini che viene premiato, non solo l’ordinata convivenza civile (cosa nobile) o il desiderio di vendetta (cosa meno nobile).
La connessione fra criminalità ed economia non è scontata, non viene subito in mente. Eppure sono diversi i canali di trasmissione attraverso cui un generale difetto di legalità si riflette in un più tenue sviluppo economico di un Paese o di una regione. Vediamone degli esempi.

Innanzitutto, un Paese a bassa legalità impiega molte risorse pubbliche nella pura difesa contro l’illegalità (forze dell’ordine, pesante macchina giudiziaria e penitenziaria) distraendole da allocazioni volte ad accrescere la ricchezza nazionale, dunque è costretto a far prevalere usi distruttivi su usi costruttivi. Se lo spostamento di risorse pubbliche non basta e ne occorrono di aggiuntive si devono imporre nuove tasse o aumentare il debito pubblico, entrambi fattori di riduzione della competitività del Paese. Poi, le imprese produttive operanti in un ambiente a bassa legalità subiscono impropri costi diretti (il «pizzo») o indiretti di prevenzione (sicurezza, assicurazioni), che ne appesantiscono i bilanci rispetto alle aziende concorrenti di aree con un maggiore tasso di legalità diffusa. Questo ovviamente si riverbera sulla performance macroeconomica dell’intero Paese.
Soprattutto, si determina una distorsione della concorrenza sul mercato. Quest’ultimo fenomeno può essere subdolamente favorito dal fatto che alcune imprese lo percepiscano come benefico: un commerciante che si veda imporre il pizzo può riceverne in cambio l’assicurazione non solo di non subire violenze, ma anche di essere protetto dall’arrivo di concorrenti in prossimità della sua bottega, a questo fine opportunamente intimiditi. Ma gli effetti sui consumatori sono negativi.
Che la criminalità danneggi l’economia può non essere intuitivo, soprattutto se si dà ascolto a quelle sirene che indicano le organizzazioni criminali come dispensatrici alla cittadinanza di ordine e fonti di reddito in supplenza dello Stato. Ma i numeri sono numeri, e provano l’assunto di un danno grave. Vediamoli, con l’aiuto di uno studio di qualche anno fa dell’economista Paolo Pinotti, che ha fatto il giro del mondo. Per ovviare alla oggettiva difficoltà di isolare empiricamente gli effetti depressivi della presenza criminale da quelli dovuti a ogni altra causa, lo studio ha usato una scorciatoia concettuale equivalente a un esperimento naturale: anziché concentrarsi sulle regioni italiane che sono storicamente afflitte dal fenomeno mafioso, sono state analizzate due regioni (Puglia e Basilicata) in cui l’affacciarsi della criminalità organizzata su vasta scala è relativamente più recente, risalendo a una quarantina di anni fa. Confrontando la performance economica di quelle due regioni prima e dopo il «contagio» con quella di regioni italiane del Centro-Nord dalle caratteristiche socio-economiche inizialmente simili ma immuni dal contagio, lo studio calcola che l’arrivo della grande criminalità ha abbassato il sentiero di crescita delle due regioni di 16 punti percentuali in trent’anni, essenzialmente scoraggiando gli investimenti privati. E dire che la loro dinamica di sviluppo prima del contagio era superiore a quella del campione centrosettentrionale di confronto!

Il fenomeno della corruzione merita qualche parola in più. L’ipotesi paradossale che la corruzione e l’economia sommersa possano essere un lubrificante della crescita economica almeno nel breve periodo, pur moralmente aberrante, sarebbe insidiosa se ricevesse conferme empiriche. Le indagini quantitative hanno invece ragionevolmente dimostrato come la corruzione deprima sempre la crescita e indebolisca l’effetto che le risorse pubbliche, se impegnate in maniera efficiente, hanno sulla crescita economica, in quanto le indirizza verso progetti poco produttivi e costringe i cittadini a pagare un sovrappiù di prezzo per i beni e servizi oggetto delle transazioni corrotte. Sono state così confutate le teorie della corruzione come «olio del sistema».

Ricordiamoci l’esperienza fatta con i disastrosi terremoti in Friuli e in Irpinia. Il primo avvenne nel 1976 e causò mille vittime (solo in Italia), il secondo seguì quattordici anni più tardi e di morti ne provocò quasi tremila. In entrambi i casi piovvero soldi pubblici per la ricostruzione e il rilancio economico, ma l’esito fu diversissimo: è stato calcolato come nel caso del terremoto friulano la crescita economica nei successivi vent’anni sia stata di venti punti percentuali superiore a quella potenziale a risorse immutate, nel caso del terremoto irpino di dieci punti inferiore, soprattutto a causa del ruolo svolto dalla criminalità organizzata, che avrebbe distratto i fondi pubblici corrompendo i gestori locali. Insomma, la legalità conviene anche economicamente, ricordiamocelo!

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