L'inasprirsi dello shock energetico compromette la crescita dell’export (+21% nei primi sette mesi dell’anno secondo Istat) che sta dando una boccata
L’inasprirsi dello shock energetico compromette la crescita dell’export (+21% nei primi sette mesi dell’anno secondo Istat) che sta dando una boccata di ossigeno alle aziende italiane, strette tra gli effetti della guerra, i costi energetici e delle materie prime alle stelle, con l’inflazione che minaccia approvvigionamenti e fiducia dei consumatori. Lo scenario futuro, confermato dal report del Centro studi Confindustria diffuso sabato 8 ottobre, è del resto quello di un rallentamento forte del commercio con l’estero: dopo una crescita a doppia cifra nel 2022 (+10,3%), l’export frenerà bruscamente (+1,8%) nel 2023.
Frenano i territori energivori
I primi segnali del cambio di passo, di fatto, ci sono già e arrivano dal manifatturiero. Emergono, soprattutto, stringendo il focus sui territori: le elaborazioni del Centro studi delle Camere di commercio Guglielmo Tagliacarne realizzate per Il Sole 24 Ore su dati Istat e Terna evidenziano che tra il primo e il secondo trimestre 2022 la corsa dell’export ha cominciato un lieve rallentamento: il saldo tra i due incrementi tendenziali rilevati rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente è pari a -0,5 per cento. E risulta più marcato nelle province che consumano livelli elevati di energia elettrica: qui le esportazioni in valore – che, va detto, incorporano gli effetti dell’aumento dei costi e dell’inflazione – sono passate da una crescita tendenziale del +22% su base annua nel primo trimestre al +20,8% nel secondo trimestre (-1,2%).Di contro, le province meno energivore continuano a macinare vendite estere, registrando un trend crescente tra i due trimestri a confronto (+3,4%): tra gennaio e marzo l’export è salito del 25% rispetto al periodo corrispondente dell’anno scorso, mentre nel secondo trimestre la crescita ha toccato il +28 per cento. «A livello generale, l’andamento delle esportazioni italiane nel 2022 è migliore di quanto ci si aspettasse», spiega Gaetano Fausto Esposito, economista e direttore generale del Centro Studi Tagliacarne.«I settori energivori, tuttavia – continua – risultano essere quelli più esposti: già nel secondo trimestre dell’anno hanno registrato i primi effetti negativi e contrariamente ad altri settori che stanno tagliando sui margini per mantenere determinati mercati, hanno cominciato a contrarre i volumi di esportazione». Il tema dei prezzi energetici e delle materie prime incide molto sull’andamento delle vendite sui mercati stranieri (così come sulle importazioni) ma pesa anche sulla produzione: «In alcuni casi sono cresciuti del 40 per cento, ma l’effetto finale sul prodotto esportato è di un 12-13 per cento».
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