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KIEV — Il cuore ha le ciminiere dell’acciaieria al posto di aorta e vene. Trasmette un senso di dramma: rosso su fondo nero con la scritta, solo in inglese, bianca: «Azovstal, Free Mariupol defenders», Azovstal, liberate i difensori di Mariupol. L’enorme stendardo copre le facciate dei municipi a Leopoli, a Kiev e in molte altre città. L’idea è la stessa che alcuni Comuni italiani dedicarono a Giulio Regeni, vogliamo verità. L’Ucraina, invece, chiede la libertà per i suoi eroi.
I «difensori di Mariupol» si sono arresi il 20 maggio, dopo 82 giorni di assedio , per ordine diretto del presidente. Molti avrebbero preferito combattere sino alla fine pur di non consegnarsi. Sapevano di rischiare la vita in cella per vendetta o un processo. Sapevano di incarnare il nemico dichiarato dalla Operazione Speciale di «denazificazione» dell’Ucraina. Paracadutisti, Guardia Nazionale, Marina e soprattutto il famigerato reggimento Azov, accusato di atrocità contro i russofili del Donbass e tendenze neonazi.
A Mosca alcuni deputati propongono per loro la pena di morte. Zelensky chiese di «evacuare», ma non pronunciò la parola, più appropriata: «resa».
Sono 2.439 e combatterono dal 1° marzo, sempre sotto assedio. Dovevano «guadagnare tempo» per permettere al resto del Paese di prepararsi. Si batterono nella periferia di Mariupol, poi gradualmente dentro la città, infine dai tunnel antiatomici dell’Azovstal. «Obbediamo» disse il comandante Denis Prokopenko. «Li riporteremo a casa» assicurò subito dopo Zelensky.
Se c’è qualcosa che può incrinare il rapporto tra il selfie-presidente e la sua gente, è il loro destino. Il Paese non gli perdonerebbe quest’errore. Le trattative si svolgono in silenzio, ma ci sono. Mercoledì il primo risultato dopo quasi 50 giorni di cella.
Nel più grande scambio di prigionieri dall’inizio dell’invasione, 144 soldati ucraini sono stati liberati da Mosca in cambio di altrettanti russi. Tra gli ucraini c’erano 95 «difensori di Mariupol» e, tra questi, 43 del reggimento Azov.
Il tabù è rotto. Anche se i 144 sono in gran parte gravemente feriti, l’idea di processarli non è un obiettivo irrinunciabile.
Lo scambio di prigionieri è uno dei pochi movimenti registrati ieri e per il Dni, l’intelligence americana, non c’è da aspettarsi molto nelle prossime settimane o mesi.
Secondo la direttrice Avril Haines entrambi i contendenti sono in cattive condizioni. «I russi impiegheranno anni a riprendersi. Potranno avanzare, ma in modo limitato e la frustrazione potrebbe indurli ad attacchi cibernetici, a controllare le reti dell’energia e persino all’uso dell’atomica. Da parte loro gli ucraini dovrebbero riuscire a stabilizzare il fronte e a riconquistare parte del Sud. La guerra si prospetta lunga anche perché Putin, pur avendo perso la capacità di attaccare su più fronti, non ha rinunciato all’idea di conquistare l’intero Paese».
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