Reddito di cittadinanza: non crea lavoro. Le vite non buone, gli invisibili, i precari per sempre.

Nessuno nega che occorre cambiarlo. E nessuno può negare che, comunque, pur con tante contraddizioni, abbia svolto una funzione positiva nei tempi del

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Nessuno nega che occorre cambiarlo. E nessuno può negare che, comunque, pur con tante contraddizioni, abbia svolto una funzione positiva nei tempi della pandemia.

Nei giorni dell’approvazione del reddito di cittadinanza, due testimonianze. Un vecchio di 64 anni. “Io non penso più al lavoro e chi me lo dà? Questo sostegno mi sembra importante, mi dà una mano”. Un altro più giovane e con un figlio diceva che non sarebbe stato sul divano, e nemmeno “costretto a prendere lavoretti, offerti da piccole imprese che se ne approfittano, potrò pensare alla formazione, guardarmi intorno senza ansia”. Le due facce: aiutare fasce marginali a non cadere nella povertà assoluta e programmare politiche attive di lavoro. Due cose diverse: la prima poteva trovare soluzione allargando il REI (Reddito inclusione) e intervenire subito sulle povertà. A parte e contemporaneamente riformare i centri per l’impiego, incentivare aziende e i settori più competitivi, “scuotere” il Sud.

Il Rei era appena partito. Era limitato nel contributo e nel numero dei beneficiari: si poteva raddoppiare il primo, triplicare i secondi. Uno strumento di cui avevano la titolarità i comuni (Piano sociale di zona): erano state formate commissioni, il servizio sociale era impegnato a renderlo efficace. Si poteva cambiare anche nome… In Puglia si era pure aggiunto il Reddito di dignità.

I dati. 1,2 milioni di famiglie. Oltre 3 milioni di persone, 1,4 milioni i minori, 500.000 disabili non percettori di invalidità. In Capitanata, 12.500. Ambito sociale di Manfredonia oltre 2.000. I 2/3 non sono “occupabili”, il 72% ha solo la licenza media. A questi si sono aggiunti nella pandemia migliaia di precari, che non hanno lavorato o hanno lavorato a intermittenza. L’opinione pubblica è colpita dalle notizie di persone che ricevono il reddito senza averne diritto, mentre molti poveri restano fuori. I requisiti sono o troppo stretti o troppo larghi (famiglie extracomunitarie escluse, famiglie numerose penalizzate…). Ci sono poi persone che percepiscono giustamente il reddito, ma non mandano i figli a scuola, non assistono i genitori. Non pagano affitto e utenze. Praticano lavoro nero, prendono il pacco alimentare… Per questo il coinvolgimento dei servizi sociali è essenziale, non solo per controllare, ma soprattutto per indirizzare, guidare… Così nessuna nuova cittadinanza è maturata.

Tra le tante buone intenzioni iniziali, c’è una frase importante. “Abbiamo fatto affiorare gli invisibili”. Ma chi sono gli invisibili? I clochard, i tanti sepolti nella pandemia senza identità, i vecchi soli… Ma come si manifesta la povertà? Non entrano in gioco solo le risorse economiche, ma anche le relazioni. C’è una povertà “emarginata”, senza prospettive, senza speranze. E’ di coloro i quali non hanno più aspirazioni, non desiderano più. Non vivono una vita buona. Ci sono a Manfredonia famiglie con disabili, dove entrano tra redditi di lavoro, pensione e indennità anche 3.000 euro. “Viviamo giornate tristi“, dicono. Non hanno bisogno di soldi, ma di altro. Disabili adulti che si isolano, aumentato di peso, fumano… Hanno bisogno di uscire fuori, di avere un minimo di vita sociale.

Parlare di vita buona significa chiedersi quali vite sono degne di essere vissute e quali non lo sono. Quali vite sono di scarto, considerate non vite, parzialmente viventi o già morte e perdute ancor prima di qualsiasi esplicita fine. Persone che si percepiscono “dispensabili” (cioè non indispensabili) e registrano a livello affettivo come la vita non sia degna di cura e protezione. Persone che comprendono che la perdita della loro vita non sarà accompagnata da lutto e la loro scomparsa non sarà pianta. (Butler). Perché si arriva a questa convinzione?

Il  reddito di Cittadinanza non crea occupazione. Molti sono già fuori del mercato del lavoro. Le politiche attive del lavoro richiedono altro. E il lavoro non si crea con le leggi. C’è il ruolo necessario delle aziende, la formazione… e poi occorre coinvolgere i Neet (oltre due milioni dai 18 ai 34 anni che né studiano e né lavorano). E bisogna fare in fretta. I nuovi posti saranno 700.000, dice il ministro Giovannini. Quando arriveranno saranno occupati in settori innovativi. Richiederanno competenze importanti. Riguarderanno famiglie benestanti… E per gli altri?

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Paolo Cascavilla

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