La Puglia tra le otto regioni “fuori controllo”: Rt stabilmente superiore a 1,5. Esperti: “Unica soluzione è il lockdown”

Hanno raggiunto il livello di rischio più alto, per il quale secondo gli esperti è prevista solo una soluzione: il lockdown. Otto Regioni e una Provin

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Hanno raggiunto il livello di rischio più alto, per il quale secondo gli esperti è prevista solo una soluzione: il lockdown. Otto Regioni e una Provincia autonoma si trovano già nello scenario peggiore, nel quale c’è una “trasmissibilità non controllata con criticità nella tenuta del sistema sanitario nel breve periodo”. Si tratta di Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Piemonte, Provincia di Bolzano, Puglia, Umbria, Val d’Aosta e Veneto. A riportarlo è Repubblica.

La Cabina di regia dell’Istituto superiore di sanità che nel suo monitoraggio settimanale analizza l’andamento del coronavirus nel nostro Paese, ieri ha invitato le amministrazioni locali a “considerare il tempestivo innalzamento delle misure di mitigazione nelle aree maggiormente affette” e i cittadini a uscire di casa il meno possibile e a incontrare solo quando strettamente necessario persone che non abitano con loro.

La Cabina di regia, creata all’inizio dell’estate, analizza una serie di indicatori, parte dei quali vengono comunicati dalle stesse Regioni. I risultati sono letti anche alla luce di un documento adottato il 12 ottobre dal ministero alla Salute nel quale vengono individuate quattro fasce di rischio e indicate le misure per affrontarle. Non è vincolante, perché la decisione spetta comunque ai governatori o all’esecutivo ma segna una strada dalla quale non è facile discostarsi.

La quarta fascia – informa Repubblica – è la più grave e scatta tra l’altro quando il sistema sanitario rischia di non reggere e l’Rt, l’indice di replicazione dell’infezione, è stabilmente superiore a 1,5. In questo caso i provvedimenti da prendere in pratica si limitano al blocco, o meglio al “lock-down generalizzato con estensione e durata da definirsi rispetto allo scenario epidemiologico”.

Nel testo che accompagna i dati, i tecnici lanciano un allarme che non ha precedenti nei monitoraggi di questi mesi. Parlano di un “rapido peggioramento” e spiegano che lo scenario di rischio nel Paese è di “tipo 3” (con un Rt che ha raggiunto l’1,5) ma ci sono alcune realtà locali dove appunto va peggio. La situazione, stando alle tabelle del 12 ottobre con le misure, richiederebbe quindi già una serie di interventi nazionali come la creazione di zone rosse, l’interruzione di attività produttive a rischio, le restrizioni alla mobilità interregionale e intraregionale, l’obbligo di mascherina a scuola anche quando è rispettato il metro di distanza e così via. Comunque, hanno scritto ieri gli esperti, “sono necessarie misure, con precedenza per le aree maggiormente colpite, che favoriscano una drastica riduzione delle interazioni fisiche tra le persone e che possano alleggerire la pressione sui servizi sanitari, comprese restrizioni nelle attività non essenziali e restrizioni della mobilità”.

Alcuni dati raccontano quello che sta succedendo. Intanto è quasi ovunque saltato il contact tracing. Ci sono troppi casi e ormai tanti, 23.000 contro i 9.300 della settimana precedente, non sono associati a catene di trasmissione note. Vuol dire appunto che non si riesce a ricostruire chi ha contagiato quelle persone. I focolai attivi aumentano (da 4.913 a 7.625) ma calano quelli nuovi della settimana (da 1.749 a 1.286). Non è una buona notizia ma solo la dimostrazione che si fanno sempre meno indagini epidemiologiche. E infatti servono a ricostruire solo un quarto dei casi. I focolai a scuola sono in aumento, come sottolinea il capo della Prevenzione del ministero Gianni Rezza, anche se la trasmissione in quel contesto sembra ancora limitata (rappresenta il 3,5% dei cluster). Ci vorrebbero piuttosto misure per le attività extrascolastiche.

Tra i parametri valutati dalla Cabina di regia c’è l’occupazione dei letti, di medicina e di rianimazione. “Questa settimana, a livello nazionale, si è osservato un importante aumento nel numero di persone ricoverate (7.131 contro 4.519 in area medica, 750 contro 420 in terapia intensiva”. Si teme che alcune regioni “raggiungano soglie critiche di occupazione in brevissimo tempo”. Ci sono ben 13 realtà locali che hanno più del 50% di probabilità di occupare un terzo dei letti nel giro di un mese. Significa ridurre di molto la capacità del sistema sanitario di occuparsi delle altre malattie. Le terapie intensive sono occupate al 16% in Umbria e Sardegna, al 15% in Liguria, al 12% nel Lazio. La media è superiore al 10%

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