Quante persone sono state uccise veramente dal coronavirus, al di là delle cifre ufficiali che leggiamo nei bollettini epidemiologici? A dare una prim
Quante persone sono state uccise veramente dal coronavirus, al di là delle cifre ufficiali che leggiamo nei bollettini epidemiologici? A dare una prima risposta ufficiale all’interrogativo sono l’Istat e l’Istituto Superiore di Sanità, attraverso un metodo di stima empirico ma attendibile: mettere a paragone il numero dei morti nei primi mesi del 2020 con quelli degli altri anni. Dalla differenza tra i due valori, si capisce quanto i numeri ufficiali si avvicinino o si scostino da quelli effettivi.
L’Istituto Nazionale di Statistica aveva già applicato questo metodo ai comuni delle aree rosse. Adesso ha esteso l’indagine a tutti i comuni e le province d’Italia.
Attenzione, non è che i bollettini epidemiologici ufficiali forniscano cifre false, o sottostimate: semplicemente quei numeri si riferiscono ai morti ufficialmente diagnosticati Covid-19.
L’analisi Istat-Iis ha confermato quanto si temeva. La mortalità ufficiale è molto più bassa di quella reale, sulla cui attendibilità gravano almeno tre fattori: i decessi imputabili comunque al covid, ma non calcolati tra quelli ufficiali perché non è stato eseguito il tampone; la mortalità indiretta covid-correlata (decessi da disfunzioni di organi quali cuore o reni, probabili conseguenze della malattia scatenata dal virus in persone non testate); una ulteriore quota di mortalità indiretta, non correlata al virus ma causata dalla crisi del sistema ospedaliero e dal timore di recarsi in ospedale.
La pandemia influenza pesantemente anche la mappa della mortalità generale disegnata dall’Istat e dall’Iis, che non esitano a parlare di tre Italie: “La diffusione geografica dell’epidemia di Covid-19 – si legge nel rapporto – è eterogenea. Nelle Regioni del Sud e nelle isole, la diffusione delle infezioni è stata molto contenuta, in quelle del Centro, è stata mediamente più elevata rispetto al Mezzogiorno mentre in quelle del Nord la circolazione del virus è stata molto elevata.”
La geografia fisica corrisponde grosso modo (ma, come vedremo, con qualche significativa eccezione) anche alle classi di diffusione del virus nelle quali Istat ed Iis hanno inserito le diverse province, calcolando il tasso standardizzato di incidenza: meno di 40 casi per 100mila residenti per la classe bassa, tra 40 e 100 casi per 100mila residenti per la classe media, valori superiori a 100 casi per 100mila abitanti per le la classe ad alta incidenza.
Le tre classi coincidono più o meno con il Sud e le Isole (bassa), il Centro (media) e il Nord (alta).
Ma con qualche eccezione, come abbiamo detto. La provincia di Foggia si trova, infatti, nella classe media, diversamente dal resto delle province pugliesi, che sono tutte comprese nella classe bassa. Le altre eccezioni riguardano le province insulari di Enna e di Sassari.
Ma veniamo ai numeri, con un paio di avvertenze preliminari: i dati sono aggiornati al 31 marzo e non riguardano la totalità dei comuni, ma una base molto ampia, per cui possono essere ritenuti più che attendibili. I dati sui decessi si riferiscono, dunque, ai comuni che fanno parte del campione.
Per stimare l’incidenza della pandemia sulla mortalità generale Istat e Iis hanno preso in considerazione sei parametri: 1) la variazione percentuale tra la mortalità registrata nei primi due mesi del 2020 (gennaio e febbraio, ovvero quando la pandemia non era ancora scoppiata) rispetto alla media 2015-2019; 2) la variazione percentuale tra la mortalità registrata a marzo 2020 rispetto alla media 2015-2019; 3) i decessi totali nel periodo caldo dell’epidemia (20 febbraio-31 marzo 2020); 4) la media 2015-2019 dei decessi totali nello stesso periodo (20 febbraio-31 marzo); 5) i decessi Covid “conclamati” registrati tra il 20 febbraio e il 31 marzo; 6) la relazione tra decessi Covid e decessi totali nel periodo 20 febbraio-31 marzo.
Nella tabella qui sotto potete vedere la tabella che si riferisce alla Puglia.
Da tenere sott’occhio, in particolare, la colonna che indica la variazione percentuale nel numero dei decenni intervenuta nel mese di marzo 2020, rispetto alla media dei mesi di marzo nel quinquennio 2015-2015.
Mentre la mortalità manifestava nei primi due mesi dell’anno un decremento generalizzato in tutte le province pugliesi, riferita al mese di marzo fa registrare un autentico balzo in avanti a Foggia (+20,6, che diventano 25,8 se si effettua la somma algebrica con l’andamento al ribasso dei mesi precedenti), nella BAT (+24,9, che con la somma algebrica diventano 26,5) e Bari (+13,1, ovvero 19,5 con la somma algebrica).
Un incremento più contenuto viene marcato da Brindisi (+7,2, 11,4), quasi impercettibile quello di Lecce (+0,2, 5,6), mentre Taranto è la sola provincia pugliese a far registrare decrementi della mortalità sia nel bimestre gennaio-febbraio (-2,4) che nel mese di marzo (-5,0).
Va ribadito che i dati sono aggiornati al 31 marzo, e che bisogna aspettare che Istat e Iis rendano noti quelli di aprile per aver conferma di un trend che comunque si presenta anomalo rispetto al resto del Mezzogiorno.
La media regionale presenta, comunque, un incremento assai più contenuto (+8,7 che diventa 13,5 con la somma algebrica), ma c’è da fare i conti con una geografia della pandemia molto diseguale tra le diverse province pugliesi. Il virus ha relativamente risparmiato la Puglia meridionale, mentre si è abbattuto con una certa virulenza nella Puglia centrosettentrionale.
Alla luce dei dati dell’Istat e dell’Iis si può affermare, con tutta la prudenza del caso, che alla conta delle vittime in provincia di Foggia manchi una percentuale compresa tra il 20 e il 25% dei morti “ufficiali”.
Non è comunque il caso di allarmarsi: gli incrementi degli indici di mortalità fatti registrare da Foggia, BAT e Bari sono assai più contenuti rispetto a quelli delle “zone rosse”, che esibiscono incrementi drammatici, a tre cifre: Bergamo (568%), Cremona (391%), Lodi (370%), Brescia (290%), Piacenza (264%), Parma (208%), Lecco (174%), Pavia (133%), Mantova (122%), Pesaro e Urbino (120%).
È comunque il caso di non abbassare la guardia, tanto più che la “fase 2” sta per conoscere un’ulteriore apertura. Due cose sono sicure: il virus non è stato ancora sconfitto, e la conta della vittime, alla fine, sarà ancora più pesante di quanto non abbiano detto fino ad oggi le stime ufficiali.
fonte Letteremeridiane
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