Ancora un 8 marzo amaro per le donne. Secondo il 10° report “Women in the workplace” della società di consulenza McKinsey, anche nel corso del 202
Ancora un 8 marzo amaro per le donne. Secondo il 10° report “Women in the workplace” della società di consulenza McKinsey, anche nel corso del 2024 il numero delle donne promosse al ruolo di manager continua a essere sensibilmente inferiore a quello degli uomini, di circa il 20%. L’indagine è stata condotta collezionando informazioni provenienti da oltre 280 organizzazioni partecipanti che impiegano complessivamente più di 10 milioni di persone e intervistando più di 15.000 dipendenti e più di 280 responsabili HR.Ne è emerso che, per ogni 100 uomini promossi a ruoli dirigenziali, lo scorso anno solo 81 sono state le colleghe donne che hanno goduto della medesima opportunità. Un dato che, peraltro, non si discosta dalla media delle ultime sei rilevazioni, rivelandosi anche peggiore dei dati collezionati dal 2020 al 2023. I dati cambiano se, oltre alla variabile di genere, ne viene introdotta una etnica: a fronte di 100 uomini manager neri si riscontrano infatti solo 54 donne, mentre parlando di lavoratori latinoamericani la cifra sale lievemente, fino a 65. Va decisamente meglio per le donne asiatiche: 99 promosse contro 100 colleghi maschi. Per quanto riguarda i bianchi, le cifre si avvicinano alla media: 89 donne ogni 100 uomini.
“Nonostante gli innegabili progressi compiuti negli ultimi decenni, il gap di genere nelle posizioni apicali nelle aziende rimane una realtà difficile da superare – commenta Debora Moretti, presidente di Fondazione Libellula e Co-Ceo di Zeta Service – questo divario, che purtroppo persiste anche nelle organizzazioni di grandi dimensioni, a dispetto degli sforzi dedicati alle politiche DEI (Diversity, Equality & Inclusion), non è solo una questione di equità, ma una vera e propria sfida che impedisce alle organizzazioni, anche a quelle più complesse, di sfruttare appieno il potenziale di talento a loro disposizione sul mercato del lavoro. Le cause? Sono molteplici e, se da un lato i fattori culturali hanno certamente un ruolo determinante, dall’altro esistono anche elementi di natura strutturale, che influenzano il processo di promozione delle persone presenti in azienda. È, però, in fase di selezione e di accesso che bisogna intervenire, cercando nuovi canali di reclutamento per arrivare a candidature che con gli approcci tradizionali non si riescono a raggiungere”.
Uno dei motivi alla base di questi numeri è, infatti, la quota minoritaria di donne presenti nelle aziende a ogni livello. Così, nonostante il 59% delle lauree sia conseguita da donne e queste rappresentino circa il 51% della popolazione, le donne in azienda coprono solo il 48% delle posizioni entry level o da specialist e progressivamente diminuiscono (con grande rapidità) al risalire della piramide aziendale. Accade quindi che solo il 39% dei manager siano donne e la percentuale scende al 29% per le posizioni dirigenziali.
E, se da un lato bisogna riconoscere che questo dato è migliore rispetto al 17% nel 2015, dall’altro questo incremento, secondo il report, è dovuto principalmente alla complessiva riduzione di queste posizioni e, parallelamente, a un incremento dei ruoli di staff (HR, ufficio legale, IT), che vengono coperti da donne. Ma, poiché è irrealistico attendersi che le aziende “creino” nuove posizioni all’infinito, non si può ancora parlare di una reale progressione della parità. Al ritmo attuale, comunque, ci vorrebbero 22 anni per le donne bianche per raggiungere, in termini numerici, i colleghi uomini (e il doppio per le donne nere).
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