Cozze a rischio di contaminazione vendute a pescherie e ristoranti della zona. Si è chiusa con 19 indagati tra cui mitilicoltori, commercianti e r
Cozze a rischio di contaminazione vendute a pescherie e ristoranti della zona. Si è chiusa con 19 indagati tra cui mitilicoltori, commercianti e ristoratori finiti nell’inchiesta della procura di Taranto sulla coltivazione di mitili nel 1 seno del mar Piccolo nonostante il divieto a causa dell’avvelenamento da diossina e Pcb dovuta alle emissioni dell’ex Ilva.
È stato il pubblico ministero Francesco Ciardo a firmare l’avviso di conclusione delle indagini da cui spicca l’accusa di associazione a delinquere per ben 6 persone: il gruppo, secondo l’accusa, avrebbe commesso «più reati contro la salute pubblica ed il commercio» in particolare, dopo essersi approvvigionato di grossi quantitativi di cozze provenienti dalla foce del Galeso ed allevate nelle acque interdette del 1° seno di mar piccolo avrebbero proceduto procedevano alla «trasformazione del prodotto in violazione delle normative igienico sanitarie» e alla vendita senza alcuna «etichettatura finalizzata alla tracciabilità del prodotto determinando quindi il pericolo per salute pubblica».
Le attività investigative compiute nel corso del 2023 dai finanzieri del Gruppo di Taranto, inoltre, avrebbero accertato che a capo dell’associazione a delinquere ci sarebbe Stefano Depane, 34enne tarantino che secondo gli inquirenti «sovraintendeva e curava, dettando le direttive agli associati, tutte le operazioni criminose dall’approvvigionamento, trasformazione e lavorazione abusivo presso il centro dallo stesso gestito di via delle Fornaci 25 di Taranto, sino alla vendita al dettaglio ed ai singoli esercizi commerciali». A collaborare con quest’ultimo ci sarebbero stati due indagati che si occupavano della trasformazione delle cozze e alla consegna agli acquirenti di Taranto e della provincia, mentre erano tre i soggetti che secondo l’accusa provvedevano alla raccolta del prodotto nelle aree vietate.
I membri della presunta associazione, inoltre, insieme a rivenditori e ristoratori dovranno rispondere anche delle accuse di commercio di sostanze alimentari nocive e frode in commercio.
«In esecuzione di un medesimo disegno criminoso – ribadisce il pm Ciardo nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari – detenevano, ponevano in vendita, distribuivano per i consumo e ponevano in commercio, elevati quantitativi di “Mytilus Galloprovincials” (nome scientifico per indicare le cozze, ndr) provenienti dalla Foce del Galeso ed allevati in acque interdette facenti parte dell’area denominata primo seno di mar piccolo ove è attestata la presenza di Pcb e Diossina e trasformati per la vendita in mancanza del rispetto delle normative igienico sanitarie, della relativa etichettatura finalizzata alla tracciabilità del prodotto determinando quindi il pericolo per salute pubblica». Nelle carte spuntano i nomi di diverse pescherie e ristoranti di numerosi quartieri di Taranto, ma anche a Castellaneta, Ginosa Marina e Laterza. Per questi ultimi, come detto, l’accusa degli inquirenti, non è solo quella di aver messo in pericolo la salute pubblica, ma anche quella di aver frodato i clienti «in ordine alla origine, provenienza e qualità del prodotto».
Gli indagati, avranno ora 20 giorni di tempo dalla notifica dell’atto giudiziario che dichiara chiusa l’inchiesta della procura, per chiedere, attraverso i proprio avvocati difensori, di essere interrogati o depositare memorie difensive e fornire la propria versione dei fatti.
Subito dopo sarà il pubblico ministero Ciardo a decidere se quelle spiegazioni bastano per archiviare le accuse nei loro confronti oppure chiedere di avviare un processo per accertare le loro eventuali responsabilità.
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