Pomodori spacciati per "italiani", ma in realtà provenienti in parte dalla Cina: e coltivati a quanto pare anche nello Xinjang, territorio sottopo
Pomodori spacciati per “italiani”, ma in realtà provenienti in parte dalla Cina: e coltivati a quanto pare anche nello Xinjang, territorio sottoposto sulla carta a sanzioni stringenti in Occidente.E’ l’accusa adombrata da un’inchiesta giornalistica condotta a vasto raggio della Bbc britannica su grandi catene di supermarket sospettate di vendere alimenti – nel Regno Unito, come negli Usa, in Germania e altrove – con indicazioni di provenienza taroccate.Il sospetto riguarda colossi di proprietà britannica o tedesca della grande distribuzione, non senza coinvolgere anche un fornitore italiano, chiamato in causa direttamente. Il riferimento è nello specifico a confezioni di concentrati di pomodoro trovate sugli scaffali dei supermercati di marchi quali Tesco, Asda, Waitrose, Rewe e altri ancora. Analisi di laboratorio affidate dal Bbc World Service a un’azienda di certificazione australiana, la Source Certain, confermano in effetti la presenza di tracce di pomodori cinesi in 17 dei 64 prodotti esaminati in diversi Paesi fra l’aprile e l’agosto di quest’anno. Dieci dei quali venduti sull’isola. L’emittente nota quindi come “la maggioranza della produzione di pomodori” in Cina sia localizzata nello Xinjiang: regione al centro di denunce ricorrenti, anche di fonte Onu, sulla repressione attribuita a Pechino nei confronti degli uiguri musulmani a colpi di detenzioni di massa in “campi di rieducazione” e di sfruttamento talora dei reclusi in forme di “lavoro schiavistico”.
Le catene britanniche messe nel mirino dall’inchiesta hanno contestato la metodologia dei test commissionati dalla Bbc, evocando risultati opposti di controesami di altri laboratori di loro fiducia. Ma hanno comunque fatto sapere di prendere sul serio la questione; e, almeno nel caso di Tesco e Rewe, hanno annunciato il ritiro cautelare di due prodotti concentrati sospetti presentati come “italiani”. La tedesca Lidl ha inoltre ammesso d’aver avuto verdetti analoghi sulla provenienza in parte cinese dei pomodori usati per una purea commercializzata in anni recenti in Germania, sotto l’etichetta ‘Baresa Tomatenmark’, e fornita dalla società Giaguaro, un esportatore italiano.
La Bbc indica peraltro come principale fornitore dei concentrati di sospetta origine cinese – fra quelli da essa fatti analizzare – il gruppo Antonio Petti, azienda della Penisola che processa preparati a base di pomodoro esportati in svariati Paesi europei; e che – stando sempre all’inchiesta britannica – avrebbe ricevuto fra il 2020 e il 2023 circa 36 milioni di chili di pasta di pomodoro provenienti dalla società Xinjiang Guannong. Gruppo che alla Bbc risulta essere stato oggetto d’indagini dei carabinieri in Italia nel 2021, nell’ambito di un fascicolo chiuso poi senza condanne di fronte alla giustizia. In risposta all’investigazione, il gruppo Petti ha dichiarato all’emittente di non avere più comprato nulla dalla Xinjiang Guannong dopo che questa è stata sanzionata dagli Usa nel 2020; ma di aver invece continuato a rifornirsi di pasta di pomodoro da un’altra azienda cinese, la Bazhou Red Fruit, che a suo dire non risulterebbe implicata nell’utilizzo di “lavoro forzato”. Ha inoltre assicurato per il futuro di non voler più importare tout court “prodotti a base di pomodoro dalla Cina” e di essere impegnata a “rafforzare i controlli sui fornitori per garantire il rispetto dei diritti umani e dei lavoratori”.Sulla vicenda è intervenuta anche la Coldiretti-Filiera Italiana sottolineando come l’indagine della Bbc evidenzi l’urgenza di “arrivare all’etichettatura obbligatoria dell’origine per tutelare il vero prodotto italiano, considerato anche che il gigante asiatico ha aumentato del 38% nell’ultimo anno la produzione di pomodoro, con la quale potrebbe invadere i mercati europei”.
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