La Puglia potrebbe essere tra le prime Regioni (preceduta solo dalla Toscana) a rendere operativo il nuovo nomeclatore per le prestazioni sanitari
La Puglia potrebbe essere tra le prime Regioni (preceduta solo dalla Toscana) a rendere operativo il nuovo nomeclatore per le prestazioni sanitarie, approvato dopo 28 anni, dalla riunione Stato-Regioni. Il decreto include nuovi esami in convenzione e nuove tariffe e potrebbe andare in vigore da qui a 15 giorni; mentre il governo fissa come limite massimo il 30 dicembre di quest’anno.
In pratica oltre ad aggiornare i prezzi alle strutture accreditate di una serie di esami di diagnostica (tagliando i costi di circa il 33 per cento) si aggiungono, allargando i Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), anche alcune prestazioni diagnostiche (come per esempio la procreazione medico assistita) e terapeutiche avanzate, prima sperimentali che ora possono essere erogate in ambito ambulatoriale, come ad esempio alcune forme di radioterapia e terapie biologiche innovative.
Ma anche il cosiddetto Prenatal test, l’esame che dal sangue della donna in gravidanza rileva se ci sono mutazioni genetiche nel feto quali la trisomia 21 (la sindrome di down), la sindrome di Edwards (trisomia 18) e la sindrome di Patau (trisomia 13). Un esame che ha sostituito in pratica l’amniocentesi, perché non invasivo e che ad oggi è sempre stato solo privato arrivando a costare anche oltre mille euro.
Allargando le prestazioni dei Lea si omogenea il servizio sanitario su tutto il territorio nazionale. Ma nello stesso tempo gli enti pubblici risparmiano perché il costo stesso delle prestazioni (incluse visite specialistiche) scendono di costo per il sistema sanitario nazionale.
Da qui le proteste, il presidente dell’Unione nazionale ambulatori, poliambulatori, enti e ospedalità privata, Mariastella Giorlandino non ha dubbi: «Con i tagli alle tariffe per visite ed esami previsti nel nuovo nomenclatore tariffario noi strutture del privato accreditato rischiamo di chiudere e si creerà anche un buco nei bilanci delle Asl pubbliche». Con ribassi che arrivano fino al 200 per cento in alcune di quelle che vengono considerate «prestazioni critiche». Insomma c’è il rischio che molte strutture private siano impossibilitate a erogare la prestazione e dunque i pazienti verranno indirizzati nelle strutture pubbliche che hanno già lunghissime liste d’attesa.
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