Ecco i 30 pugliesi finiti nei dossier di Milano: dall’imprenditore dalemiano De Santis agli insospettabili

Imprenditori, politici, faccendieri. Sono circa una trentina i nominativi di persone nate tra Puglia e Basilicata su cui avrebbe compiuto ricerche

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Imprenditori, politici, faccendieri. Sono circa una trentina i nominativi di persone nate tra Puglia e Basilicata su cui avrebbe compiuto ricerche il gruppo travolto dall’inchiesta della Direzione distrettuale Antimafia di Milano sul furto di informazioni dalle banche dati. Notizie su precedenti penali, guai col fisco e persino i rapporti con l’Inps. Elementi che finivano in dossier costruiti per conto di mandanti su cui l’inchiesta è riuscita solo in parte a fare piena luce.

E tra le decine di «spiati» di Puglia e Basilicata (che in questa storia sono tutte vittime) spiccano gli uomini protagonisti, all’epoca, dell’inchiesta sul caso dell’ex presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati («Sistema Sesto»), chiusa con un nulla di fatto. Come l’imprenditore dei trasporti Piero Di Caterina, pugliese di nascita ma milanese di adozione. O come Roberto De Santis, salentino, da sempre ritenuto il braccio destro imprenditoriale di Massimo D’Alema. Ed Enrico Intini, 62enne di Noci, altro imprenditore di area, che dopo alcune disavventure giudiziarie di un decennio fa (dalle quali è uscito pulito) è sparito dai radar per puntare su nuovi e lucrosi business. Una ricerca ha riguardato anche l’architetto Renato Giuseppe Sarno, origini tarantine, che di Penati è stato il grande accusatore, così come l’altro imprenditore salentino Antonio Cannalire che fu arrestato nell’ambito dell’inchiesta su Bpm (salvo poi essere assolto) e oggi ha trovato riparo in una grande azienda di Stato.

E ancora, dalle banche dati sono state estrapolate secondo l’accusa, informazioni sulla famiglia De Lorenzis di Racale, imprenditori del gaming anche loro protagonisti di disavventure giudiziarie concluse nel 2022 con l’assoluzione in Cassazione e la restituzione dei beni. Altri imprenditori del mondo del gioco sarebbero stati attenzionati forse nell’ambito di un’enorme compravendita.

Ma non solo. Tra le migliaia di pagine dell’inchiesta c’è anche un imprenditore di origini lucane, di Brienza, coinvolto in passato in inchieste relative alle energie rinnovabili. E ancora un signore nato in provincia di Bari che risulta essersi candidato alle Regionali 2020 in una lista del centrodestra, portando a casa circa 1.600 voti. E poi due baresi (marito e moglie), due medici (una di Lecce e una in servizio in un ospedale del Foggiano), un imprenditore di Ceglie Messapica che già ebbe un quarto d’ora di celebrità quando il suo nome è comparso in uno dei «leaks» relativi alle società offshore.
L’inchiesta ha portato quattro persone agli arresti domiciliari tra cui Carmine Gallo, superpoliziotto della squadra mobile di Milano, e alla sospensione dal servizio di due militari pugliesi. Il primo è Giuliano Schiano, salentino in servizio alla Dia di Lecce, il secondo invece è Marco Malerba, brindisino, ispettore della Polizia in servizio al commissariato di Rho, nell’hinterland milanese. Nell’inchiesta sono stati complessivamente denunciati a piede libero altri due pugliesi e un lucano. Si tratta di Tommaso Cagnazzo, maresciallo dei carabinieri anche lui in servizio alla Sezione operativa della Dia di Lecce, Armando Gianniello, altro brindisino del commissariato di Rho, e infine Vincenzo De Marzio, originario di Salandra nel Materano, un ex carabiniere che per l’accusa partecipava all’associazione con il compito principale di procacciare clienti ma anche «contribuendo materialmente all’espletamento dei servizi illeciti, comprese le intercettazioni abusive».

«Non è esagerato affermare che si tratta di soggetti che rappresentano un pericolo per la democrazia di questo Paese», si legge nelle 1.172 pagine della richiesta di misura cautelare firmata dal pm meneghino Francesco De Tommasi. Sotto la lente sono finite anche le massime cariche dello Stato: dalle mail del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al presidente del Senato Ignazio La Russa e suo figlio. Una vicenda «estremamente allarmante e preoccupante, in quanto le azioni commesse mettono in pericolo interessi vitali delle Istituzioni e della collettività, interessi che vengono compromessi da soggetti spregiudicati, scaltri, determinati e privi di scrupoli, che si muovono nell’ombra e nell’oscurità, anche dei loro stessi personaggi, all’interno di una rete di relazioni e di rapporti criminosi molto vasta, fatta di ex appartenenti alle forze dell’ordine, operatori di polizia infedeli e corrotti, responsabili della sicurezza di grandi imprese, società d’investigazioni, liberi professionisti, imprenditori».

Per il magistrato che ha coordinato l’inchiesta dei carabinieri di Varese «si tratta di un sodalizio che gode di entrature di primissimo livello in ogni ganglio delle istituzioni, anche politiche, entrature che vengono sfruttate non solo per “agganciare” clienti importanti e dotati di grande capacità economica, come ad esempio imprese di rilievo nazionale, ma anche quale “corazza” che ha l’effetto di “tenere lontani” dal gruppo eventuali iniziative investigative nei confronti dello stesso, in conseguenza dell’immagine rassicurante e tranquillizzante con cui l’organizzazione di riflesso si presenta a coloro che con essa vengono in contatto». Ma in realtà i servizi di Gallo e compagni, sono stati richiesti da centinaia di soggetti, in alcuni casi anche con ruoli apicali. Come la giudice milanese Carla Romana Raineri, presidente della prima sezione Civile della Corte d’Appello di Milano, componente del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria e in passato capo di gabinetto dell’ex sindaca di Roma Virginia Raggi. La sua posizione è stata stralciata dal procedimento milanese e trasferito alla procura di Brescia competente per i reati commessi dai magistrati meneghini. L’accusa nei suoi confronti è di aver chiesto all’organizzazione di procurare informazioni sul marito dal quale si stava per separare.

Ma i rapporti del gruppo non si limitavano a questo. Anzi. Il pm De Tommasi scrive che si tratta di «soggetti che godono di appoggi di alto livello, in vari ambienti, anche quello della criminalità mafiosa e quello dei servizi segreti, pure stranieri, e che spesso promettono e si vantano di poter intervenire su indagini e processi, per bloccare iniziative giudiziarie». Insomma una «rete criminale» ritenuta «assai vasta e strutturata» che gli inquirenti definiscono «a grappolo» nel senso che «ogni componente del sodalizio e ogni collaboratore esterno dello stesso hanno a loro volta ulteriori contatti, nelle Forze dell’Ordine e nelle altre pubbliche amministrazioni».

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