Puglia, il bilancio sui «cervelli» in fuga: emigrati in 24mila in dieci anni

Spesso sentiamo lanciare allarmi sull’immigrazione in Italia. In realtà un fenomeno ben più allarmante sta crescendo nel nostro Paese: quello dell

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Spesso sentiamo lanciare allarmi sull’immigrazione in Italia. In realtà un fenomeno ben più allarmante sta crescendo nel nostro Paese: quello dell’emigrazione. E a preoccupare sono soprattutSpesso sentiamo lanciare allarmi sull’immigrazione in Italia. In realtà un fenomeno ben più allarmante sta crescendo nel nostro Paese: quello dell’emigrazione. E a preoccupare sono soprattutto le «nuove migrazioni»: sono giovani laureati o diplomati o che non hanno finito gli studi tra i 18 e i 34 anni. Lasciano le proprie radici e la propria terra per trasferirsi all’estero.

La Fondazione Nord Est, il Centro studi e ricerche di carattere economico e sociale nato grazie alle Confindustrie e le diverse categorie economiche del Nord Est d’Italia, nei giorni scorsi in un apposito report ha diffuso i dati allarmanti di questo spopolamento che è in atto un po’ in tutta Italia, Puglia compresa.

«Il saldo migratorio dei 18-34enni nel 2011-2023 è -377mila – spiega Luca Paolazzi, direttore scientifico della Fondazione Nord Est – dato reale è tre volte più ampio, perché molti mantengono la residenza italiana. Nel 2023 la Lombardia ha il saldo peggiore (-5.760) seguita dal Veneto (-3.759), che però una popolazione molto inferiore. L’emigrazione aggrava il calo di giovani italiani, scesi da 13,5 milioni nel 2000 a 9,1 nel 2024».

In Puglia nel decennio il saldo migratorio dei giovani cervelli in fuga è stato quasi -24mila e solo nel 2023 quasi -1.800.

«Dopo il rallentamento nel biennio 2020-2021, l’emigrazione dei giovani italiani (18-34 anni) è ripresa ai più alti ritmi pre-pandemici, sia nelle uscite sia nel saldo migratorio – commenta sempre Paolazzi – Nel 2022 e nel 2023 quasi 100mila giovani italiani hanno lasciato il Paese, mentre solo poco più di 37mila sono rientrati. Nel periodo 2011-23 (tredici anni) il totale delle cancellazioni anagrafiche per l’estero sale a 550mila, contro 172mila iscrizioni (rientri), per un saldo negativo di 377mila persone».

Ma, al di là dei freddi numeri, il fenomeno appare estremamente grave tanto da innalzare la fuga dei giovani a vera emergenza nazionale.

Come evidenziano gli analisti della Fondazione Nord Est, rilevante è la proporzione tra i flussi nei confronti dei principali sei Paesi di destinazione: Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi, Svizzera e Regno Unito. Per ogni giovane cittadino di queste nazioni che sceglie di trasferirsi nel Nord Italia, più di 7 giovani italiani residenti nel Settentrione fanno la scelta inversa.

«Per i giovani pugliesi (e per i meridionali in genere), invece – spiega il direttore scientifico della Fondazione – il trasferimento al Nord d’Italia assume i contorni dell’emigrazione estera».

Ma perché se ne vanno? Una doppia indagine demoscopica della Fondazione Nord Est ha coinvolto, da un lato, un panel di 1921 unità statisticamente rappresentativo della popolazione tra i 18 e i 34 anni residente nel Nord Italia e, dall’altro, 856 risposte di giovani coetanei espatriati – sempre provenienti dal Nord Italia –, così da fornire la risposta quanto più completa possibile al quesito fondamentale.

«Tra le prime osservazioni emerge che un expat (chi si stabilisce temporaneamente o definitivamente all’estero) ritiene il proprio futuro più ricco di opportunità e maggiormente frutto del proprio impegno rispetto ad un coetaneo residente nel Settentrione, anche se in generale risulta più esigente in fatto di condizioni di lavoro. Vi è invece concordanza nell’attribuire ad un’atmosfera di lavoro piacevole e ad un “buon equilibrio fra vita lavorativa e vita privata” i primi due gradini del podio della classifica per importanza degli aspetti nella scelta di un impiego. La medaglia di bronzo assegnata nelle priorità alla retribuzione dimostra la costante sensibilità al tema, rilevata specialmente tra gli expat».

«In generale – aggiunge il direttore scientifico Luca Paolazzi – è però importante cogliere come, misurando l’importanza di un fattore tramite una scala da 1 a 5, vi sia una differenza contenuta tra i valori attribuiti alla prima e all’ultima posizione. Questo a significare come oggi, per trattenere giovani, laureati e non, sia necessario un impegno a 360 gradi, vista l’aumentata sensibilità anche verso aspetti un tempo più marginali come l’equilibrio tra vita e lavoro, la sicurezza e la sostenibilità».

Inoltre, al Nord come al Sud, più di un giovane su tre immagina il proprio futuro prossimo – orizzonte di tre anni – al di fuori dello Stivale o “ovunque lo portino migliori opportunità” ed indica le occasioni di crescita professionale come prima motivazione per l’espatrio, anche se una porzione consistente sarebbe disposta ad accettare un impiego non in linea con la propria formazione, pur non accettando uno stipendio basso.

È indicativo come solo il 16% degli expat – che in tre casi su quattro avevano già avuto esperienze all’estero – si immagina in Italia nei prossimi tre anni e comunque indica la famiglia come principale motivazione di rientro.

«Insomma – conclude Paolazzi – la tanto decantata qualità della vita del Bel Paese – pur con parziali eccezioni riguardanti il servizio sanitario e il sistema universitario non sembra essere percepita come tale dalle giovani generazioni di italiani, le quali sono alla ricerca di migliori opportunità economiche e di lavoro e si sono dimostrate pronte alla scelta più drastica: espatriare».to le «nuove migrazioni»: sono giovani laureati o diplomati o che non hanno finito gli studi tra i 18 e i 34 anni. Lasciano le proprie radici e la propria terra per trasferirsi all’estero.

La Fondazione Nord Est, il Centro studi e ricerche di carattere economico e sociale nato grazie alle Confindustrie e le diverse categorie economiche del Nord Est d’Italia, nei giorni scorsi in un apposito report ha diffuso i dati allarmanti di questo spopolamento che è in atto un po’ in tutta Italia, Puglia compresa.

«Il saldo migratorio dei 18-34enni nel 2011-2023 è -377mila – spiega Luca Paolazzi, direttore scientifico della Fondazione Nord Est – dato reale è tre volte più ampio, perché molti mantengono la residenza italiana. Nel 2023 la Lombardia ha il saldo peggiore (-5.760) seguita dal Veneto (-3.759), che però una popolazione molto inferiore. L’emigrazione aggrava il calo di giovani italiani, scesi da 13,5 milioni nel 2000 a 9,1 nel 2024».

In Puglia nel decennio il saldo migratorio dei giovani cervelli in fuga è stato quasi -24mila e solo nel 2023 quasi -1.800.

«Dopo il rallentamento nel biennio 2020-2021, l’emigrazione dei giovani italiani (18-34 anni) è ripresa ai più alti ritmi pre-pandemici, sia nelle uscite sia nel saldo migratorio – commenta sempre Paolazzi – Nel 2022 e nel 2023 quasi 100mila giovani italiani hanno lasciato il Paese, mentre solo poco più di 37mila sono rientrati. Nel periodo 2011-23 (tredici anni) il totale delle cancellazioni anagrafiche per l’estero sale a 550mila, contro 172mila iscrizioni (rientri), per un saldo negativo di 377mila persone».

Ma, al di là dei freddi numeri, il fenomeno appare estremamente grave tanto da innalzare la fuga dei giovani a vera emergenza nazionale.

Come evidenziano gli analisti della Fondazione Nord Est, rilevante è la proporzione tra i flussi nei confronti dei principali sei Paesi di destinazione: Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi, Svizzera e Regno Unito. Per ogni giovane cittadino di queste nazioni che sceglie di trasferirsi nel Nord Italia, più di 7 giovani italiani residenti nel Settentrione fanno la scelta inversa.

«Per i giovani pugliesi (e per i meridionali in genere), invece – spiega il direttore scientifico della Fondazione – il trasferimento al Nord d’Italia assume i contorni dell’emigrazione estera».

Ma perché se ne vanno? Una doppia indagine demoscopica della Fondazione Nord Est ha coinvolto, da un lato, un panel di 1921 unità statisticamente rappresentativo della popolazione tra i 18 e i 34 anni residente nel Nord Italia e, dall’altro, 856 risposte di giovani coetanei espatriati – sempre provenienti dal Nord Italia –, così da fornire la risposta quanto più completa possibile al quesito fondamentale.

«Tra le prime osservazioni emerge che un expat (chi si stabilisce temporaneamente o definitivamente all’estero) ritiene il proprio futuro più ricco di opportunità e maggiormente frutto del proprio impegno rispetto ad un coetaneo residente nel Settentrione, anche se in generale risulta più esigente in fatto di condizioni di lavoro. Vi è invece concordanza nell’attribuire ad un’atmosfera di lavoro piacevole e ad un “buon equilibrio fra vita lavorativa e vita privata” i primi due gradini del podio della classifica per importanza degli aspetti nella scelta di un impiego. La medaglia di bronzo assegnata nelle priorità alla retribuzione dimostra la costante sensibilità al tema, rilevata specialmente tra gli expat».

«In generale – aggiunge il direttore scientifico Luca Paolazzi – è però importante cogliere come, misurando l’importanza di un fattore tramite una scala da 1 a 5, vi sia una differenza contenuta tra i valori attribuiti alla prima e all’ultima posizione. Questo a significare come oggi, per trattenere giovani, laureati e non, sia necessario un impegno a 360 gradi, vista l’aumentata sensibilità anche verso aspetti un tempo più marginali come l’equilibrio tra vita e lavoro, la sicurezza e la sostenibilità».

Inoltre, al Nord come al Sud, più di un giovane su tre immagina il proprio futuro prossimo – orizzonte di tre anni – al di fuori dello Stivale o “ovunque lo portino migliori opportunità” ed indica le occasioni di crescita professionale come prima motivazione per l’espatrio, anche se una porzione consistente sarebbe disposta ad accettare un impiego non in linea con la propria formazione, pur non accettando uno stipendio basso.

È indicativo come solo il 16% degli expat – che in tre casi su quattro avevano già avuto esperienze all’estero – si immagina in Italia nei prossimi tre anni e comunque indica la famiglia come principale motivazione di rientro.

«Insomma – conclude Paolazzi – la tanto decantata qualità della vita del Bel Paese – pur con parziali eccezioni riguardanti il servizio sanitario e il sistema universitario non sembra essere percepita come tale dalle giovani generazioni di italiani, le quali sono alla ricerca di migliori opportunità economiche e di lavoro e si sono dimostrate pronte alla scelta più drastica: espatriare».

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