Con il picco del caldo è allerta rossa nei campi al Sud per il rischio incendi, ma anche per l'aggravarsi della siccità che sta devastando le colt
Con il picco del caldo è allerta rossa nei campi al Sud per il rischio incendi, ma anche per l’aggravarsi della siccità che sta devastando le coltivazioni, dal grano all’olio d’oliva fino ai pomodori. A lanciare l’allarme è la Coldiretti nel mappare i danni causati dalle alte temperature che continuano ad assediare il Meridione, in particolare Puglia e Sicilia.
L’emergenza resta grave in Sicilia con gli animali rimasti senza cibo e acqua e i campi arsi dalla mancanza di pioggia, mentre aumenta il pericolo di incendi con 5.800 ettari di terreni già andati a fuoco da inizio luglio. Molte aziende hanno rinunciato a raccogliere il grano, il cui crollo medio è superiore al 50% del raccolto. Per gli alberi da frutto, vigne e uliveti si stima un danno in oltre 2,7 miliardi di euro. Situazione drammatica anche in Puglia dove il caldo africano con picchi fino a 43 gradi brucia frutta e verdura nei campi. La produzione di olive è prevista in calo di oltre il 50%, come quella di grano.In Basilicata sono quasi 200 gli ettari andati a fuoco da inizio luglio, con danni da siccità per quasi mezzo miliardo di euro, tra calo di produzione, aumento dei costi e perdita di quote di mercato. Sul fronte dei cereali il calo è dell’80% dei raccolti, mentre per i foraggi del 70%. Pessime anche le prime stime per la produzione di olio d’oliva, scese tra il 50 e il 75%, mentre per il vino è del 40%. La siccità morde anche in Sardegna con cali produttivi che interessano ormai tutti i settori, dai cereali all’ortofrutta, dopo i problemi causati dagli incendi nei giorni scorsi. Incendi che minacciano anche la Calabria dove da inizio luglio sono andati a fuoco 3800 ettari, tra aree boschive e uliveti; i problemi principali si registrano per pomodori, peperoni, angurie oltre alla cascola delle olive.
«La diga di Occhito, che ha una capacità massima di 333 milioni di metri cubi di acqua, alla data del 25 luglio conta una capacità di 75 milioni di metri cubi! In provincia di Foggia molti pozzi sono ormai sono secchi – denuncia Giovanna Amedei (Presidente Ordine Geologi della Puglia) – e in particolare sul Gargano diverse sorgenti storiche che alimentano anche fontane pubbliche sono prive di acqua. Il 57% delle superfici è a rischio desertificazione. Le alte temperature di questi mesi e la mancanza di precipitazioni stanno ormai determinando una vera crisi idrica, in Puglia. La falda e gli invasi sono quasi al collasso. Avere la consapevolezza che siamo in piena crisi idrica non basta. Bisogna aumentare l’efficienza del sistema idrico con constrasto alla dispersione, manutenzione agli invasi già esistenti, consumo sostenibile dell’acqua specialmente dei pozzi attivi ma soprattutto costruire nuovi bacini di accumulo, per raddoppiare la raccolta di acqua e iniziare una politica di riutilizzo. L’acqua piovana diventa sempre più una risorsa preziosissima in una terra come la Puglia, dove circa il 57% delle superfici è a rischio desertificazione. Noi Geologi, come professionisti del settore, siamo pronti e disponibili a dare il nostro supporto e contributo tecnico».
«Alleanza Verdi Sinistra sta spingendo il governo a occuparsene, ma al governo nessuno ascolta – dice il responsabile Mezzogiorno di Sinistra Italiana Nico Bavaro – innanzitutto perché negano la crisi climatica.E quel che è intollerabile è che ci sono situazioni – prosegue l’esponente dell’Alleanza Verdi Sinistra – in cui l’acqua c’è ma viene buttata in mare. È il caso della diga di Castelvetrano in Sicilia, cui manca il collaudo tecnico. Ma è anche il caso della diga del Liscione in Molise: basterebbero appena 10 km di condotta dal Liscione al potabilizzatore di Finocchito, per poter evitare che 60 milioni di metri cubi di acqua finiscano in mare. Basterebbero ancora due dighe fra Molise e Puglia (Palazzo d’Ascoli e Piano dei Limiti) per poter avere altri 110 milioni di metri cubi d’acqua a disposizione di Puglia e Molise. Ma non si fa nulla e di nulla si discute. Ci vogliono soldi, volontà politica e visione, ma il governo Meloni – conclude Bavaro – ha deciso di buttare 13 miliardi di euro per un ponte, pur di dare a Salvini un passatempo».
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