RADUANO E LE STORIE DI 12 OMICIDI. GRONDANO SANGUE. LE DICHIARAZIONI DEL BOSS DI VIESTE ORA COLLABORATORE DI GIUSTIZIA

Grondano sangue i verbali di Marco Raduano, 41 an­ni, ergastolano, ex boss di Vieste, reo confesso di una dozzina di omicidi (“non ammazzavamo per

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Grondano sangue i verbali di Marco Raduano, 41 an­ni, ergastolano, ex boss di Vieste, reo confesso di una dozzina di omicidi (“non ammazzavamo persone innocenti, era sempre gente macchiatasi di delitti di sangue”), pentitosi il 15 marzo, 42 giorni dopo la cattura a Bastia in Corsica il 2 febbraio quand’era in fuga dalla Giustizia da un anno in seguito all’evasione il 24 febbraio 2023 dal carcere di Nuoro dove scontava 19 anni per traffico di droga. Il pentito ha risposto alle domande dei difensori (e lo farà nelle prossime udienze) dei 24 im­putati delprocesso Omnia nostra in Tribunale a Foggia accusati a vario titolo dimafia, droga, ten­tativi di omicidio e altri reati.

DA CLAN IN CLAN –

“Io vado in carcere sin da minorenne” il rac­conto di Raduano “sono sempre stato nel mondo criminale viestano. Facevo parte del gruppo di Angelo Notarangelo detto Cintaridd, ucciso a gennaio 2015 perché non riuscivamo a fare altre at­tività illecite in quanto ci faceva delle imposizioni; sono uno degli autori dell’omicidio, l’ho confes­sato senza che mi fosse stato contestato. Presi io il posto di No­tarangelo al comando, con me collaboravano mio cognato Giampiero Vescera” (ucciso a settem­bre 2016) “e Girolamo Perna” (ammazzato a aprile 2016 al terzo tentativo di farlo fuori). “Fu nel periodo della morte di Notaran­gelo che entrai a far parte del gruppo Libergolis-Miucci in cui rimasi fino alla morte di mio co­gnato Vescera. ucciso quand’ero detenuto. Ci fu una scissione nel mio gruppo” (che originò la guer­ra con i rivali Perna/ Iannoli) “in quanto soggetti del mio clan in accordo col gruppo di Miucci uc­cisero Vescera perché volevano

ereditare il mio posto nel con­trollo sulle attività illecite a Vie­ste, droga essenzialmente. Una volta scarcerato mi schierai con­tro i Libergolis-Miucci e mi alleai coi loro rivali”, il gruppo Romito poi denominato Lombardi/Ricucci/La Torre.

L’OMICIDIO SILVESTRI –

All’omicidio di Cintaridd’ seguì a marzo 2015 il ferimento di Ema­nuele Finaldi “che non accettava la morte di Angelo Notarangelo, non si sottoponeva alle regole e alle nostre imposizioni, poi anche lui si alleò col gruppo Romito/La Torre/Lombardi”. Per farsi ac­cettare dal gruppo Romito e conquistarne la fiducia dopo essere stato alleato dei Libergolis-Miuc­ci, Raduano sostiene d’aver for­nito loro informazioni sui rivali, su agguati falliti e su progetti d’omicidio, e d’aver preso parte all’assassinio di Giuseppe Silve­stri la mattina del 21 marzo 2017 a Monte Sant’Angelo, per il quale è stato condannato all’ergastolo in primo grado, come l’ergastolo è stato inflitto al boss Matteo Lombardi. “Fui scarcerato a febbraio, a marzo partecipai all’omicidio: Silvestri fu ucciso perché era del gruppo Miucci: non riuscendo a individuare Enzo Miucci perché era ai domiciliari, decidemmo di ammazzare Silvestri; partecipai per conto del clan con cui mi ero alleato. Mi portarono con loro

proprio perché macchiandomi di un fatto di sangue nei confronti del clan avversario non c’erano più possibilità di tradimento. An­che perché da noi non esistono affiliazioni con santini e formule, da noi la fiducia si acquista com­mettendo un omicidio”.

VENDETTA DEI ROMITO –

 Fu sempre per conto del clan Ro­mito che Raduano partecipò a Manfredonia la mattina del 18 febbraio 2018 all’agguato fallito a Giovanni Caterino, poi condan­nato all’ergastolo quale basista della strage del 9 agosto 2017 nelle campagne di San Marco in Lamis in cui su ordine del clan Libergolis-Miucci furono uccisi il capo clan Mano Luciano Romito di Manfredonia, il cognato Matteo De Palma che gli faceva da autista e i fratelli sammarchesi Aurelio e Luigi Luciani agricoltori in tran­sito sul luogo della sparatoria e eliminati quali potenziali, testi­moni. “Caterino era un insospet­tabile che gravitava nel mondo dei Romito, attingeva informa­zioni e le riferiva a Enzo Miucci; fui io a dirlo a Lombardi e La Torre quando mi alleai con loro. Prim’ancora che Caterino venis­se arrestato per la strage” (a ot­tobre 2017) “sapevamo che vi ave­va partecipato. L’agguato ai suoi danni cui partecipai insieme al foggiano Massimo Perdonò del clan Moretti” (condannato a 12 anni) “fallì perché Caterino si ac­corse di noi; speronammo la sua auto ma riuscì a sottrarsi al bloc­co. Furono Pasquale Ricucci” (ucciso a Macchia dal clan Libergolis-Miucci a novembre 2019) “Matteo Lombardi e Pietro La Torre” (imputati in Omnia no­stra anche quali mandante del tentato omicidio Caterino) “a in­formarmi d’aver individuato Ca­terino: siccome loro avevano pen­sato d’ammazzarlo coinvolgendo soggetti foggiani, mi chiesero se volessi partecipare: ‘guarda che vengono i foggiani, ma questi spa­rano con le pistole; vuoi andarci anche tu con il fucile ancora se lo fanno scappare?’; io prestai il mio consenso.

SCIA DI SANGUE –

Tornan­do agli omicidi su Vieste collegati alla guerra tra i clan Raduano e Perna/Iannoli, il 27 luglio 2017 venne ucciso nel suo ristorante Omar Trotta, uno dei due omicidi per cui Marco Raduano è stato condannato all’ergastolo nel pro­cesso abbreviato Omnia Nostra. “L’omicidio Trotta l’ho organiz­zato io” le parole del pentito: “lui era vicino al clan Miucci, a quello di Perna, ospitava soggetti di Monte per compiere azioni dì fuo­co a Vieste, dava supporto in pae­se al clan rivale”, Il 26 aprile 2018 fu assassinato Giambattista Notarangelo (5 arresti lo scorso apri­le, c’è anche Raduano) “che non aveva un ruolo diretto, però an­che lui aveva l’appartenenza con il cugino Angelo Notarangelo e con un viestano vicino al gruppo Miucci. Fu ucciso con 3 pistole e un fucile, armi di cui avevo do­tato il mio gruppo di fuoco per dare una risposta al tentato omi­cidio che subii il 21 marzo 2018”, per il quale sono stati condannati a 14 anni e 6 mesi i cugini Gio­vanni e Claudio Iannoli, e di cui erano sospettati Perna quale mandante e Girolamo Pecorelli quale esecutore insieme ai cugini Iannoli. “Pecorelli l’ho ammaz­zato io a giugno 2018, è uno degli omicidi che ho confessato senza che mi fosse contestato: faceva parte del clan Perna, era uno de­gli autori del mio ferimento e dell’omicidio di Antonio Fabbiano che faceva parte del mio grup­po”; Fabbiano fu ucciso il 26 apri­le a Vieste, 10 giorni fa per questo agguato inflitto in corte d’assise l’ergastolo a Giovanni Iannoli.

LUPARA BIANCA –

 Nella scia di delitti viestani (19 fatti di sangue da gennaio 2015 all’estate 2022 con 10 morti, 1 lupara bianca, vari agguati falliti) c’è la scom­parsa di Pasquale Notarangelo nipote di Angelo e figlio di Pa­squale assassinati a gennaio 2015 e gennaio 2017. Sparì la sera del 21 maggio inghiottito dalla lupara bianca, altro delitto confessato da Raduano. “Pasquale Notarangelo gravitava nel mondo dello spac­cio: per un periodo fu vicino al mio gruppo, solo che poi non ri­spettava le regole e decisi di eli­minarlo, mettendone a conoscen­za il mio clan”.

MORTE DEL RIVALE –

Era de tenuto dal 7 agosto 2018 Raduano dopo il fermo per traffico di droga nel blitz “Neve di marzo”, quando il 26 aprile 2019 fu eliminato il suo ex alleato e poi rivale Girolamo Perna, ucciso a fucilate davanti casa. Un altro pentito viestano. Danilo Pietro Della Malva, indicò quale autore materiale il matti­natese Bartolomeo Pio Notarangelo (che lo querelò), allevatore , assassinato in un agguato mafio­so a Mattinata lo scorso 16 giu­gno. “Perna era un mio sodale” le parole di Raduano “poi fece la scissione s’avvicinò al gruppo Miucci: per via di questa scissione da un po’ di anni cercavamo di ammazzarlo (sfuggì a 2 agguati a settembre 2016 e marzo 2017) “alla fine è stato ammazzato. Quando fu ucciso, io ero detenuto a Nuoro, fu il gruppo Lombardi/Ricucci/La Torre a farsi carico dell’omicidio Perna; Danilo Della Malva diede supporto”.

IN CARCERE? DAVO ORDINI COL TELEFONINO

Anche un mancato agguato scongiurato solo per un incrocio con il fuoristrada dei Cc

Chissà chi era l’uomo che doveva essere ucciso a maggio 2017 e che non sa d’essere stato salvato da un controllo dei cara­binieri. Nelle rivelazioni del pentito Marco Raduano c’è spazio anche per questo episodio.

“Eravamo una ventina di persone in una masseria del Gargano, riconduci­bile a Pasquale Ri­cucci: c’ero io, Ri­cucci, Matteo Lom­bardi, Pietro La Tor­re, foggiani tra cui Rocco Moretti, mat­tinatesi: subimmo un controllo di una pattuglia dei carabi­nieri-forestali.

 Era­vamo lì dalla mat­tina alle 5 per compiere un omicidio quando a un tratto arrivò un fuo­ristrada dei carabinieri: ci allonta­nammo e scappammo, ma ci ren­demmo conto che era inutile scap­pare perché sul posto avevano la­sciato armi e effetti personali, quindi ci armammo, calammo i passamon­tagna e tornammo indietro nella mas­seria: minacciammo i carabinieri con mitra Kalashnikov, loro videro che numericamente eravamo tanti, si misero sul fuoristrada e scapparono: noi prendemmo le nostre auto e ci al­lontanammo a no­stra volta”.

Quanto agli affari dei clan erano essen­zialmente droga con imposizione ai pusher (“uno spaccia­tore non si poteva permettere di com­prare droga dal clan rivale al mio”); il controllo del territo­rio veniva esercitato “principalmente con gli omicidi, perché la popolazione sapeva che era per mano nostra”; nessuno degli esponenti di vertice dei gruppi “poteva permettersi di aprire un negozio o di andare in campagna a lavorare perché era in corso una guerra di mafia: altrimenti nessuno di noi sarebbe durato 24 ore”.

Raduano ha aggiunto che anche da detenuto reggeva le fila del clan “anche grazie a telefonini che avevo in carcere”; e parlato della strategia per colpire i pentiti: “mi occupai di far incendiare l’auto della madre di Orazio Coda e di intimorire parenti di Danilo Pietro Della Malva; cer­cavamo di sapere dove potessero tro­varsi i collaboratori di Giustizia, avevamo pensato di mettere rile­vatori gps sotto l’auto di qualche parente; anche io dopo essermi pen­tito ho ricevuto minacce alla mia famiglia”.

Perché si è pentito Raduano, boss incontrastato della mafia garganica e dei clan che imperversano a Vieste e non solo, condannato a 19 anni per traffico di droga e all’ergastolo in primo grado per mafia, 2 omicidi (Silvestri e Trotta) e un tentato omi­cidio (Caterino)? “Ho deciso di cam­biare vita, di dare un futuro a mio figlio; e anche perché ho subito di­versi tentativi di omicidio e mi sono stancato di questa vita di mafia e omicidi”.

gazzetta capitanata

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