Un piccolo reparto dalla parte delle donne che soffre per la mancanza di personale. Una situazione che diventa più grave in estate, quando ci sono
Un piccolo reparto dalla parte delle donne che soffre per la mancanza di personale. Una situazione che diventa più grave in estate, quando ci sono da smaltire le ferie. All’ospedale San Paolo il reparto Pianificazione familiare Ivg è una specie di oasi dove le donne sono al sicuro: uno spazio per donne che hanno deciso di interrompere la gravidanza, per donne migranti che hanno subito violenze e mutilazioni, per persone fragili per disabilità psichiche i fisiche.
«Sì – conferma Anna F. che ha dovuto abortire solo un paio di mesi fa -, ad accogliermi ho trovato una equipe di veri professionisti. Anzi per la precisione professioniste, tutte donne. Mi sono sentita sorretta con competenza sanitaria e umana. La scelta che io ho fatto, quella di tante altre donne, non è per non negarsi la vacanza in barca a vela. Qualcosa da fare a cuor leggero. E’ un momento delicato, spesso ci sei costretta, e trovarti con persone che capiscono il tuo dolore e smarrimento fa la differenza».
Anna non è di Bari, arriva da un paese del Gargano, non ha trovato risposte sul suo territorio, ha dovuto viaggiare per quasi 150 chilometri, per aver garantito quello che una legge prevede: la 194/78 con il suo diritto per una donna a non voler portare a termine una gravidanza.
«Non solo Anna. Da noi arrivano donne dall’Abruzzo, dalla Calabria», conferma Maria A. una ostetrica ora in pensione che per anni ha svolto il suo servizio in reparto. Chiede non sia scritto il suo cognome per evitare di diventare un bersaglio. «Attorno a noi si scatenano i più deliranti, meglio essere cauti».
«Il reparto Pianificazione familiare Ivg dell’ospedale San Paolo è un centro che funziona 365 giorni l’anno. Ma soffriamo per carenza di personale – spiega Maria A. -. Tutto è legato all’obiezione di coscienza. Devo essere sincera, l’azienda sanitaria ha sempre cercato di aiutarci, ma arrivano medici, infermieri, ostetriche e dopo 15 giorni, un mese, firmano per l’obiezione di coscienza e vanno via. E’ la legge che va cambiata per mettere gli amministratori nelle condizioni di poter garantire il personale necessario».
Dal cartellone affisso alla parete del reparto ci dovrebbero essere in servizio nove unità. «Ma non è così – ribatte l’ostetrica -. Io sono andata in pensione qualche mese fa e so che ancora non sono stata sostituita. Poi ci sono le maternità, le ferie, è chiaro che chi resta si trova a dover fare anche turni di 12 ore».
Il dito è puntato contro la possibilità che la 194/78 garantisce di dichiarare l’obiezione di coscienza, in qualsiasi momento. Una clausola figlia del compromesso politico che fu trovato nel 1978 con la Democrazia Cristiana per varare la legge, ma che oggi si rivela un boomerang sulla pelle delle donne. E’ come se un chirurgo dopo 10 anni di studi si rifiutasse di entrare in sala operatoria. Una follia apparente, ma che per un ginecologo o infermiere o ostetrica è possibile. Anche se una interruzione di gravidanza è una eventualità che fa parte della salute e della vita di una donna.
L’obiezione di coscienza poteva essere comprensibile per garantire quanti si trovarono 26 anni fa con studi medici in corso, all’atto della promulgazione delle 194/78, ma oggi non dovrebbe essere permessa.
«Ci è capitato di avere a che fare con colleghe che hanno usato il reparto per avere il trasferimento più vicino casa e poi hanno firmato l’obiezione e sono andate via. In realtà non danno vere motivazioni per le loro scelte. E sinceramente non credo proprio sia di natura morale».
Anche perché nel reparto si fa tanto altro. Si aiutano le donne fragili, quelle che arrivano dopo aver attraversato il deserto e sfidato il Mediterraneo. Donne migranti infibulate, violentate. E’ un porto sicuro per donne con disabilità. E poi ancora si parla di contraccezione, di maternità sicura, di prevenzione contro i carcinomi femminili.
«Potremo fare di più, molto di più – conferma Maria A. – e invece ci sono donne che remano contro altre donne. Una situazione che mi fa impazzire. Noi ci confrontiamo con il dolore, sì, ma anche con una umanità preziosissima».
Secondo gli ultimi dati Istat relativi al 2022, le interruzioni di gravidanza a Bari rappresentano il 42% (2.276) del totale regionale (5.316), che da la misura del fenomeno «migrazione», di donne costrette a spostarsi per trovare chi dia loro aiuto.
«Mentre ero qui in reparto ho contato almeno 7-8 ricoveri al giorno – racconta Anna F. -, e poi ci sono i controlli post, tutta l’assistenza ginecologica garantita. Il carico di lavoro è su personale che credo sia la metà rispetto a quello stabilito».
Una legge che doveva tutelare un diritto e che viene strumentalizzata, personale medico e sanitario di eccellenza che si trova all’ospedale San Paolo a dover fare salti mortali e tutto sulla pelle delle donne. L’aborto visto ancora come un tabù, di cui meglio non parlare. Un problema privato da nascondere sotto il tappeto insieme alla polvere.
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