Foggia, il pentito Giuseppe Francavilla inguaia D’Alba re delle lavanderie ospedaliere. La Dda: Lavit è contigua alla mafia

Il pentito Giuseppe Francavilla è ritenuto il cassiere dell’omonimo clan della mafia foggiana. E in uno degli ultimi verbali ha parlato dell’impre

Furti, spaccio di droga e armi illegali. Arrestati 4 viestani
Assalto con bomba al bancomat della Bper: danni ingenti, il colpo ad Orsara di Puglia
Foggia, primo colpo del 2021: bomba carta contro pizzeria, divelta saracinesca

Foggia, pentito inguaia D'Alba, re delle lavanderie ospedaliere

Il pentito Giuseppe Francavilla è ritenuto il cassiere dell’omonimo clan della mafia foggiana. E in uno degli ultimi verbali ha parlato dell’imprenditore Michele D’Alba, il 52enne di Manfredonia a cui fanno capo una serie di società colpite da interdittive antimafia. Ci sono anche le dichiarazioni di Francavilla nell’indagine a carico di D’Alba, di cui la Dda di Bari ha chiesto il rinvio a giudizio per favoreggiamento aggravato dall’agevolazione della mafia: avrebbe negato le richieste estorsive cui sarebbe stato sottoposto.

Il particolare è emerso ieri durante l’udienza davanti al Tribunale di Prevenzione che riguarda Lavit, la società riconducibile alla famiglia D’Alba che gestisce – tra l’altro – il «lavanolo» (lenzuola e materassi) negli ospedali pugliesi. Lavit (difesa dal professor Vito Mormando e dagli avvocati Michele Laforgia e Francesco Marzullo) ha chiesto di poter accedere al controllo giudiziario, la forma più soft di commissariamento prevista dal Codice antimafia. La Dda di Bari, con il pm Ettore Cardinali, e la Prefettura di Foggia che ha disposto l’interdittiva antimafia si sono opposte: la società – dicono – è in una posizione di contiguità rispetto ai clan locali.

Cardinali ha fatto riferimento proprio a uno stralcio delle dichiarazioni di Giuseppe Francavilla, depositato nel fascicolo della pm Bruna Manganelli a carico di D’Alba, per dimostrare non solo che l’imprenditore si sarebbe sempre piegato alle richieste estorsive della criminalità organizzata foggiana, ma anche che agirebbe su un piano di parità rispetto ai clan.
Il pentito ha raccontato di aver conosciuto D’Alba nel 2013, in un locale riconducibile alla famiglia Moretti. «Gli parlai non di estorsione – ha messo a verbale Francavilla -, io sapevo che lui pagava, lui è inserito nei tre mesi… della lista che hanno i Moretti. Io chiesi un incontro perché non volevo fargli un’altra estorsione, volevo iniziare un’attivita di… a Foggia non c’erano all’epoca i lavaggi – nei B&B, negli alberghi, nei ristoranti – delle tovaglie… non so una cosa del genere… Volevo che lui ci desse una mano a fare questa… lavanderia…». Il riferimento è alla «lista delle estorsioni» sequestrata dalla polizia di Foggia, un manoscritto in cui appare il nome della coop Tre Fiammelle (altra società riconducibile a D’Alba, pure questa interdetta) con l’appunto «4000 ogni tre mesi». Soldi che sarebbero stati materialmente versati ad esponenti della batteria Moretti-Pellegrino-Lanza: l’accusa di favoreggiamento mossa a D’Alba nasce dal fatto che avrebbe negato di essere sotto estorsione.

Le parole del pentito Francavilla, ritenuto credibile dalla Dda al punto tale da consentire l’arresto del boss Sinesi, rafforzerebbero questa impostazione. L’ex cassiere ha confermato che D’Alba pagava, e di averlo saputo «da quelli che andavano a fare il giro per i Moretti, che dovevano riscuotere i soldi per i tre mesi e c’era anche D’Alba. Si poteva trovare D’Amato, oppure Gatta quando c’era Gatta, oppure Tizzano, cioè avevano queste persone che andavano a fare il giro» degli imprenditori: «Perché arrivavano i soldi dei tre mesi, anche di Michele D’Alba». Secondo il pentito D’Amato e i Moretti con D’Alba «avevano forse un po’ più dialogo di noi perché si vedevano più spesso per prendere i soldi».
Il punto della narrazione che riguarda Lavit è, però, nella richiesta che Francavilla avrebbe fatto a D’Alba di aprire una lavanderia per servire ristoranti e b&b. Nel verbale c’è pure, nella versione del pentito, quella che sarebbe stata la risposta dell’imprenditore. «Lui disse: “Va bene, questa è una ottima… però ci vuole un po’ di tempo per affrontare questa situazione”. Ed io dissi: “Prenditi tutto il tempo che vuoi”. Poi dopo un po’ ci arrestarono per il bar, e quindi niente più è andato in porto. Sono uscito e l’ha fatto lui». Va detto, però, che Lavit è stata creata nel 2008 attraverso una scissione dalla coop Tre Fiammelle.

Il Tribunale (presidente Romanazzi, relatore Galesi) si è riservato la decisione. La difesa della Lavit ha fatto notare di non conoscere il contenuto del verbale del pentito, e ha valorizzato la circostanza che D’Alba sarebbe uscito dalla compagine sociale della Lavit (da cui risultava assunto come dirigente). Ma secondo la Procura il self cleaning messo in atto dalla cooperativa sarebbe solo apparente, perché in ogni caso la maggioranza delle quote resterebbe in mano alla famiglia D’Alba o a loro dipendenti.

COMMENTI

WORDPRESS: 0