Imprese pugliesi si cancellano dalle ‘white list’ del lavoro agricolo

Alle aziende agricole pugliesi sembra non piacere la Rete del Lavoro Agricolo di Qualità contro lo sfruttamento lavorativo e il caporalato.  A

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Alle aziende agricole pugliesi sembra non piacere la Rete del Lavoro Agricolo di Qualità contro lo sfruttamento lavorativo e il caporalato. 

A fronte di un basso numero di adesioni, l’aggiornamento a maggio 2024 registra addirittura un arretramento, “segno che qualche azienda che aveva presentato domanda non era poi così virtuosa come avrebbe autocertificato” evidenziano dalla Flai Cgil.

Infatti solo le imprese agricole che si distinguono per il rispetto delle norme in materia di lavoro, legislazione sociale, imposte sui redditi e sul valore aggiunto sono quelle che – sulla carta – dovrebbero aderire alla Rete del lavoro agricolo di qualità, introdotta dalla legge 116 del 2014 e successivamente modificata dalla 199 del 2016, la legge simbolo della lotta al caporalato e allo sfruttamento.

Si tratta di una rete istituita presso l’Inps per individuare appunto le imprese agricole virtuose sul territorio, considerato che l’adesione fa sì che le aziende iscritte non siano prioritariamente oggetto dei controlli posti in essere dagli organi di vigilanza. Una sorta di ‘white list’ che in Puglia è passata dalle 1.144 aziende ammesse nel 2021 fino alle 1.404 registrate a settembre 2023.

Il monitoraggio del mese scorso registra invece un dato inferiore, di 1.282 aziende. A livello territoriale Bari esprime il 51% di imprese registrate, il 39% del Foggiano, quote inferiori nelle altre province. “Ma delle aziende ammesse alla Rete, solo 300 sono strutturate con operai agricoli dipendenti, le altre sono a conduzione famigliare”, spiega il segretario generale della Flai Cgil di Puglia, Antonio Gagliardi. “Dati irrisori considerato che la nostra regione ha circa 77mila aziende attive, quasi 30mila quelle ricorrono alle assunzioni stagionali”. 

Nel commentare i dati dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che hanno registrato il 53% di imprese non in regola, ma soprattutto la bassa incidenza di controlli che porta un’azienda a poter essere oggetto di ispezione una volta ogni 33 anni, la Flai Cgil ha segnalato come risulta incomprensibile che il tema del dumping salariale, che colpisce le tante aziende che operano nel rispetto delle norme, non sia una priorità anche delle associazioni datoriali. “Dovremmo spingere tutte a iscriversi alla Rete del lavoro agricolo di qualità, e invece la realtà è quella descritta”.

Intanto si avvicina la stagione delle grandi raccolte e Gagliardi evidenzia altri aspetti negativi:

“Denunciamo il ritardo con cui le istituzioni stanno predisponendo misure per accogliere in modo dignitoso le migliaia di lavoratori stagionali che arrivano in Puglia, e nello stesso tempo non si riesce a far fronte alla condizione di emergenza che vivono i lavoratori negli insediamenti informali, senza acqua potabile, servizi di assistenza sanitaria, spesso ottenuti solo dopo nostre battaglie e con l’appoggio di associazioni di volontariato. Così come si è scoperto che i decreti flussi presentano lacune normative e non rispondono al dettato normativo. Solo l’ipocrisia può far nascere stupore rispetto a una legge come la Bossi-Fini che alimenta circuiti irregolari per uomini e donne che diventano esercito di riserva per caporali e imprenditori senza scrupoli, da spremere e sfruttare senza alcun rispetto per la dignità umana. Vorremmo discutere di questo ai tavoli della Rete del lavoro agricolo di qualità, per dare compiutezza alla legge 199, in attesa di una risposta da parte della Regione alla quale abbiamo chiesto un incontro urgente”.

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