“Il 42,5% dei lavoratori e delle lavoratrici dei settori privati in Puglia vive con un salario lordo medio annuale pari a 10mila euro se non infer
“Il 42,5% dei lavoratori e delle lavoratrici dei settori privati in Puglia vive con un salario lordo medio annuale pari a 10mila euro se non inferiore. Parliamo di 360mila persone. Per 145mila di loro non si va molto oltre i 5mila euro lordi. In Italia e ancor più nelle regioni del Mezzogiorno come la Puglia c’è una drammatica emergenza salariale che solo la destra e settori più retrivi del mondo dell’impresa può negare come tale”.
È quanto afferma la segretaria generale della Cgil Puglia, Gigia Bucci, a commento delle elaborazioni dell’Ufficio Economia della Cgil nazionale su dati Inps 2022, che non comprendono il settore agricolo, comparto rilevante nel nostro territorio e caratterizzato da stagionalità e salari bassi. “Il salario lordo annuale medio del totale degli 850mila lavoratori dei settori privati ammonta a 16.942 euro, che netti si traducono in poco più di 1.100 euro al mese. Ma il dettaglio restituisce una realtà ancor più grave. Dalla lettura del report – strutturato su tipologia contrattuale, orario di lavoro, periodo di impiego retribuito – risulta evidente come tra le principali cause dei bassi salari a livello regionale vi siano la discontinuità lavorativa, il diffuso part-time, la precarietà contrattuale” spiega Bucci. “Infatti vi sono oltre 125mila lavoratori e lavoratrici che pur avendo in essere un contratto a tempo indeterminato e full time, a causa della discontinuità del lavoro sono sotto i 20mila euro lordi l’anno di salario. Ancora peggio sta messo chi, pur in presenza di tempo indeterminato, a causa di rapporti part-time e intermittenti si ferma a 9mila euro l’anno. In questa condizione vi sono oltre 100mila uomini e donne”.
La segretaria generale della Cgil Puglia sottolinea come “vi siano alcuni elementi strutturali che vanno aggrediti per affrontare il tema salari poveri. La struttura produttiva nella nostra regione risente della prevalenza di settori a basso valore aggiungo, in primis terziario e servizi, e la bassa specializzazione produttiva e quindi lavorativa. Occorre allora investire su una crescita della qualità dei servizi e dei prodotti, attraverso ricerca e innovazione. Ma questo si scontra con un altro elemento limitante, che è quella della piccola dimensione aziendale prevalente. Come Cgil insistiamo sulla necessità di investire sul manifatturiero, in primis difendendo quel sistema industriale che c’è e va accompagnato nelle transizioni in atto affinché possa agganciare catene di valore e non stare sul mercato globale comprimendo salari e diritti”.
Assieme, vi è un dato più generale, “che attiene a una necessaria ricomposizione del lavoro e delle norme che lo regolano. Un mercato del lavoro frammentato, caratterizzato prevalentemente da forme precarie e part-time involontario. Così come è ineludibile, a fronte dell’esplosione dell’inflazione che dal 2021 ha eroso i redditi da lavoro, un aumento dei salari attraverso la contrattazione, con una discussione scevra da condizionamenti ideologici sulla necessità di introdurre dentro i contratti la previsione di un salario minimo. Non basta il rallentamento dell’inflazione, occorre recuperare quanto le persone hanno persone come potere d’acquisto”.
A modificare alcune delle storture del mercato del lavoro “puntano i quattro referendum promossi dalla Cgil, per cancellare norme che hanno indebolito i diritti e reso più ricattabili i lavoratori e le lavoratrici. È la ragione per cui invitiamo tutti a firmare presso i banchetti che la Cgil promuove in ogni territorio o anche on line tramite Spid”.Sul tema della povertà salariale, conclude Bucci, “abbiamo proposto alla Regione l’istituzione di un osservatorio, durante un’audizione tenuta in VI Commissione consigliare. L’Istat certifica l’aumento della povertà tra chi lavora, e con questi salari non può che essere così. Il Governo di destra ignora la realtà, racconta favole agli italiani. Si va avanti a condoni fiscali e di abusi edilizi, mentre di contro si liberalizzano i contratti a termine e si toglie ogni sostegno di redditi bassi. Come se non bastasse tutto il precariato che c’è già. In questo contesto un osservatorio regionale può essere uno strumento di analisi e studio sulle povertà salariali per fornire alla politica, alle istituzioni e alle parti sociali, strumenti di conoscenza per la contrattazione e a supporto di misure e norme che provino a contrastare questo disagio sociale ed economico. Motivo per cui chiediamo alla Regione, a fronte dell’interesse manifestato in Commissione dai consiglieri presenti, di avviare quanto prima un confronto per la strutturazione dell’Osservatorio”.
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