Da domani mattina il direttore sanitario di una clinica privata pugliese potrebbe avere anche 70, 80 o magari - perché no - anche 90 anni. In diec
Da domani mattina il direttore sanitario di una clinica privata pugliese potrebbe avere anche 70, 80 o magari – perché no – anche 90 anni. In dieci secondi, con un voto all’unanimità dei presenti, martedì il Consiglio regionale ha infilato in un debito fuori bilancio una normetta che rappresenta l’ennesimo regalo ad alcune lobby della sanità. Un emendamento, passato nonostante il parere contrario del ministero della Salute (e dunque destinato a essere impugnato), che dimostra ancora una volta la permeabilità della politica pugliese. Un po’ come era accaduto a dicembre con le autorizzazioni per le strutture destinate ai malati psichiatrici, su cui il Consiglio è stato costretto a tornare indietro dopo che emerse il regalo da 30 milioni fatto ad alcuni operatori del Salento.
Stavolta la norma proposta dal grillino Marco Galante e dal civico Mauro Vizzino serve a cancellare una disposizione contenuta nella legge regionale sugli accreditamenti, che impone il rispetto del limite d’età previsto da un Decreto legislativo del 1992 (la riforma De Lorenzo) per i responsabili sanitari delle strutture pubbliche anche per quelli delle strutture private. I direttori sanitari non possono superare i 65 anni, limite derogabile in determinati casi fino a 70 anni, che si applica anche alle strutture private. La Puglia aveva emanato una sua deroga, fino al prossimo anno, che consente di arrivare (per le strutture private) fino a 72 anni. Il colpo di spugna cancella tutto, e apre ai direttori sanitari 90enni.
Il motivo per cui la legge impone il limite d’età ha a che fare con la responsabilità del ruolo. Nelle strutture private accreditate, il direttore sanitario ha la responsabilità di attestare la corrispondenza al vero dei trattamenti effettuati di cui poi la struttura chiede il pagamento alla Asl. Metterci un 90enne (a voler pensare male) è l’equivalente di nominare una testa di legno in una società di capitali: non rischia nulla.
E infatti, proprio a fronte delle pressioni arrivate dal mondo privato, il dipartimento Salute aveva chiesto un parere al ministero. La risposta, di tre pagine, può essere sintetizzata così: la legge nazionale non può imporre limiti ai responsabili sanitari delle strutture private autorizzate. «I medesimi limiti di età – è detto nel parere – assumono un diverso significato se applicati quali requisiti ulteriori di accreditamento, con specifico riferimento alle funzioni di direzione sanitaria di struttura, imposti alle sole strutture sanitarie già autorizzate che intendano intraprendere il percorso di progressiva integrazione all’interno del servizio sanitario istituzionale rappresentata dall’accreditamento». Traduzione: chi lavora con i soldi pubblici, deve rispettare le regole del pubblico.
È una risposta chiara, che non ammette interpretazioni. E invece martedì la conferenza dei capigruppo ha deciso di votare l’emendamento Galante-Vizzino nonostante un parere contrario che ne comporterà l’impugnazione. Il perché va cercato, appunto, nelle pressioni trasversali. Quelle delle strutture sanitarie private, appunto, ma anche quelle dei medici pensionati che possono essere richiamati ad esempio come direttori di Rsa, a costi evidentemente più bassi rispetto a un collega in attività.
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