La Puglia non è un paese per giovani? Si chiede Lino Patruno nel suo articolo sulla «Gazzetta» del 2 giugno. Ovviamente non è il solo. Se lo chiedono
La Puglia non è un paese per giovani? Si chiede Lino Patruno nel suo articolo sulla «Gazzetta» del 2 giugno. Ovviamente non è il solo. Se lo chiedono in molti e soprattutto i ragazzi che scrutano nel proprio futuro.
Diciamolo subito. Andarsene, abbandonare il natio borgo selvaggio, misurarsi con la grande metropoli è un’aspirazione eterna, un mito letterario e cinematografico. Da Bel Ami di Maupassant al Moraldo dei Vitelloni, tutti i giovani di belle speranze vogliono troncare i rapporti con l’ambiente locale, e familiare, che trovano soffocante.
Dalla poesia passiamo però alla prosa e, intanto, distinguiamo. Ci sono i giovani che se ne vanno per bisogno, come quelli che vengono dall’Africa o da Paesi inospitali sui barconi, come i nostri antenati che salpavano sui bastimenti «per terre assai lontane», o andavano a fare i minatori in Belgio.
Oggi la situazione è un po’ diversa. Quasi nessuno dei nostri giovani pensa di andare in miniera a Marcinelle. Quasi tutti vogliono andare fuori, al nord, per stare meglio e per realizzarsi meglio. Ci sono i figli di papà che vanno a fare i lavapiatti a Londra perché «fa punteggio» per le assunzioni future nelle multinazionali. E ci sono gli altri, quasi tutti benestanti, le cui famiglie se lo possono permettere, che cominciano con l’andare a studiare fuori perché pensano che offra maggiori prospettive di impiego e opportunità sociali.
In linea di principio non hanno torto se scelgono facoltà migliori e luoghi di maggiore densità produttiva. Ma oggi è ancora così? Il professor Francesco Cupertino, rettore del Politecnico, ci dice che i laureati a Bari trovano occupazione al 96,5%. Che ci sono cinque dipartimenti di cui due dichiarati di eccellenza dall’Agenzia di valutazione delle Università. Che le laureate al Politecnico di Bari guadagnano il 13% in più rispetto alla media italiana.
Manca ancora il rapporto multi culturale con altri studenti e docenti che si trovano nelle università di eccellenza al Nord e all’estero. Ma anche questo può cambiare se la Puglia è ormai simbolo di qualità della vita. Può diventare attrattiva anche per docenti e studenti di multiculturalità.
Ma è anche vero, lasciatemelo dire, che chi è bravo e motivato, sfonda anche al Sud e ha successo anche a casa sua, con il vantaggio (ma lui lo percepisce come vantaggio o handicap?) di non dover troncare rapporti sociali e familiari per ricostruirsene altri in luoghi non sempre ospitali e talvolta ostili. Per dire, mi sono spesso chiesto se devo ritenermi uno sfigato io che ho due figlie che sono rimaste a Bari. Hanno studiato a Bari. Lavorano a Bari e hanno messo famiglia a Bari. E sono sfigate loro? In sostanza, per i giovani bravi, pugliesi, del Sud, è indispensabile andare fuori per realizzarsi? Ed anche per chi va a Milano o in Germania a fare l’operaio, sicuro che qui non ci sia possibilità di impiego? Si dice che manchino infermieri, ausiliari, addetti al settore del turismo. Meglio il tornitore a Dortmund che il cameriere ad Alberobello?
Certo c’è il problema dello sfruttamento e del sottosalario (ma non solo al Sud!). Ma a questi sistemi si può e si deve reagire; ci sono i Sindacati, ci sono le denunce sui social. Precarietà e sfruttamento sono un problema serio contro cui attivarsi e lottare, ma non possono essere un alibi per rassegnazione o rifiuto.
Mi chiedo, però, se non ci sia anche un elemento, diciamo così, modaiolo. Vado fuori perché è più figo? E c’è però poi un altro fattore, che credo stia diventando determinante. Il lavoro non è più un valore in sé. Anzi sta diventando un disvalore.
«Lavorare stanca», e non piace. Certo di Stakanov in giro non se ne vedono, ma nemmeno tanti giovani che per il lavoro mostrino entusiasmo e nemmeno un sostanziale interesse. Credo che pochi tra i giovani abbiano oggi voglia di fare gli impiegati, gli operai, gli artigiani e nemmeno i professionisti. Piuttosto blogger, influencer, tiktoker e, magari, i più bravi, seri e ragionevoli, programmatori informatici (preferibilmente di giochi elettronici). Di qui, anche, la great resignation, la fuga dal lavoro fisso e la mistica dello «yolo», acronimo di «you only live once», si vive una volta sola, come già insegnavano Epicuro ed Orazio prima che prevalesse il cattolico/calvinista/marxista senso del dovere.
Così il lavoro oggi non è attrattivo. Così come non lo è (facce dello stesso fenomeno?) nemmeno la famiglia. Il coniuge, i figli, la sera alla TV, la domenica a pranzo dai suoceri, che palle… Vuoi mettere uscire la sera e cazzeggiare davanti ai bar preferibilmente in piedi sorseggiando un drink? Intendiamoci, la mia non è una critica, ma una constatazione. Siamo in una trasformazione epocale della società.
Fare il laudator temporis acti non è solo inutile, è patetico. Il mondo andrà dove i giovani lo porteranno.
Lino Patruno dice che è tutta una commedia dell’impossibile. Non ci resta che osservarla, ma astenendoci dai consigli. Faccio l’avvocato da tempi lontani e dico a casa che campo (non male) dando consigli, ma a pagamento. Se li dispenso gratuitamente non solo non vengono accettati, ma rifiutati per principio. Evitare consigli gratuiti è sempre buona norma. A maggior ragione per gli anziani (quorum ego).
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