Una città che non sa osare

LA DRAMMATICA e penosa alluvione che ha messo in ginocchio l’Emilia Romagna, una delle regioni italiane ad alta densità produttiva non solo agrico

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LA DRAMMATICA e penosa alluvione che ha messo in ginocchio l’Emilia Romagna, una delle regioni italiane ad alta densità produttiva non solo agricola, è stata vissuta dalla popolazione di Manfredonia con particolare e angosciata partecipazione in ricordo di una situazione simile anche se meno invasiva, abbattutasi sulla città più di mezzo secolo fa. Era il 15 luglio del 1972 quando alle prime luci dell’alba, l’abitato venne invaso da una furiosa massa d’acqua precipitata dalle retrostanti falde del Gargano, prodotta dalle abbondanti piogge. Gravi e diffuse furono le conseguenze: quattro morti di cui tre bambini, 20 feriti e alcune centinaia di sfollati.

FRA i danneggiati ci fu anche lo stabilimento petrolchimico Anic da poco insediato poco oltre l’abitato verso la piana di Macchia. L’area fu invasa delle acque e gli impianti subirono gravi danni. Tant’è che l’Anic, costola di ENI, corse ai ripari costruendo sul fianco del Gargano prospicente Manfredonia, una serie di sbarramenti con la funzione di convogliare le acque piovane in capaci canaloni disposti a mo’ di cintura protettiva dell’abitato.
UN INTERVENTO che è risultato provvidenziale: da allora, tranne qualche altro episodio ben controllato da quelle strutture che hanno funzionato magnificamente, Manfredonia è rimasta indenne da inondazioni da pioggia. L’unico problema, se tale è, che sollecitano quei canaloni, è la loro pulizia, la tenuta sgombra da detriti naturalmente finiti in quegli alvei o appositamente portativi. Quei canaloni sono diventati infatti ricettacolo di ogni tipo di rifiuto depositati da gente evidentemente incosciente. Si provvede alla loro pulizia?
QUEI collettori con la protettiva funzione che svolgono, è una delle eredità benefiche lasciate da quell’industria deprecata per altre ragioni. E non l’unica. Grazie a quell’insediamento industriale, Manfredonia ebbe l’allacciamento alla conduttura dell’acqua potabile, il porto industriale, la circumvallazione che alleggerisce il traffico per l’area industriale e il porto e il Gargano.
ANCHE l’altro grande progetto industriale, il Contratto d’area, anch’esso finito miseramente snobbato in loco, ha lasciato una eredità di grande valore: l’area industriale attrezzata, fior di capannoni disponibili in buona parte occupati da imprenditori locali che vi hanno installato attività proficue. A questi beni materiali di notevole portata, occorre aggiungere anche l’eredità di beni immateriali, sotto forma di know-how, vale a dire quel complesso di cognizioni ed esperienze acquisite dal personale addetto alle varie attività industriali, servite per avviare nuove iniziative in loco. Qualche esempio: la Mucafer, la IMES, la Vetreria Fascione, ma anche tante piccole-medie attività industriali, come Somacis, Clemente, Collicelli, Borriello ed altre.
SE CI SI GUARDA intorno ci si rende conto che il sistema industriale manfredoniano può contare su alcune decine di aziende sostenibili sparse tra l’area ex Enichem e l’area ex Contratto d’area, che assicurano un contributo sostanziale all’occupazione e dunque all’economia locale. Una base interessante cui si aggiunge anche il supporto finanziario: le banche cittadine detengono risparmi per oltre seicento milioni di euro (non si sa quanti siano i denari depositati altrove) che giacciono infruttuosi. Nella recente manifestazione sull’innovazione economica svoltasi al Castello, esperti della finanza e imprenditori avanzati, hanno dimostrato che è possibile mettere a frutto quei fondi e creare attività, occupazione e reddito. A quanto pare a Manfredonia ci sono le basi per azionare una economia autoctona in grado anche di attrarre finanziamenti extra e accrescere il potenziale economico.
QUEL che manca è il motore: una adeguata cultura industriale, la capacità organizzativa, apparati economici-finanziari di supporto, imprenditori illuminati, amministratori della città preparati e motivati che sappiano promuovere il territorio, fare tesoro delle risorse e capacità latenti, che incentivino le buone pratiche operative. Che sappiano osare.
Michele Apollonio

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