Via libera della commissione Bilancio della Camera alla nuova relazione al Def sullo scostamento di bilancio, che oggi tornerà in Aula a Montecitorio
Via libera della commissione Bilancio della Camera alla nuova relazione al Def sullo scostamento di bilancio, che oggi tornerà in Aula a Montecitorio per il voto.
“L’inserimento della misura che innalza i fringe benefit per le famiglie con figli non riduce l’ammontare delle risorse destinate al cuneo”.
Lo ha detto il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti a margine del suo intervento in commissione alla Camera.
“No”, ha detto Giorgetti a chi gli chiedeva se l’ammontare per il cuneo sarà ridotto: “tutti hanno fatto dei calcoli senza avere i numeri. I numeri li vedrete allegati alla Relazione tecnica”.
Dopo sei mesi la coalizione che sostiene il governo va sotto in Parlamento per la prima volta. Sono mancati 6 voti al centrodestra alla Camera, dove è stata così respinta la risoluzione di maggioranza sullo scostamento di bilancio, i 3,4 miliardi per il 2023 a copertura del taglio del cuneo nel decreto da varare nel Consiglio dei ministri del primo maggio. “È stato un brutto scivolone” ma non “un segnale politico”, il commento a caldo di Giorgia Meloni, che ha ricevuto la notizia mentre era impegnata a Londra nel bilaterale con Rishi Sunak.
Dovrebbe però resistere il piano del Cdm nel giorno delle festa dei lavoratori, perché una riunione lampo del governo ha nuovamente approvato il Def, e Camera e Senato completeranno l’esame al massimo entro sabato. Un iter rapido, che ha preso corpo nelle interlocuzioni fra governo e Colle. Anche per questo le opposizioni, dopo le accuse di “dilettantismo” della segretaria dem Elly Schlein e l’invito del M5s alla premier di recarsi al Quirinale, alla fine non sembrano intenzionate a fare particolare ostruzionismo.
Al Senato fila tutto liscio (votano a favore 5 del Terzo polo fra cui Matteo Renzi), a Montecitorio no. “I deputati o non sanno o non si rendono conto”, lo sfogo del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, lasciando irritato l’Aula. “Una figura di m…”, è la sintesi di un big del centrodestra, mentre in Transatlantico si fanno i conti degli assenti non giustificati: 25 alla fine, 11 della Lega, 9 di FI e 5 di FdI. Senza contare quelli in missione. L’irritazione è forte nella maggioranza, fra gli azzurri volano commenti al veleno da chi ha subito l’ultima riorganizzazione, nei confronti di chi è stato promosso e non era in Aula.
“Una brutta figura”, per un “eccesso di sicurezza”, il pensiero di Meloni, secondo cui “tutti vanno richiamati alle loro responsabilità. Credo che si debba fare una valutazione ulteriore, e concentrare l’attenzione sui parlamentari in missione, su chi ha un doppio incarico”. Dopo questo incidente vuole “organizzare meglio tutta la filiera”, serve più comunicazione “tra di noi, con i capi delegazione, con i capigruppo, perché tutti devono essere coinvolti. Io ho in testa un calendario di riforme chiaro e abbastanza serrato, e credo che sia un lavoro su cui vanno coinvolti tutti quanti e mi prendo io la responsabilità di farlo. Sto già organizzando”. Tra gli assenti anche ministri e deputati esperti.
Anche se in missione, Giulio Tremonti, ex ministro delle Finanze, decide di partecipare alla votazione, forse annusando il rischio. D’altronde, secondo Openopolis, da inizio legislatura a inizio marzo su 47 votazioni chiave in 12 casi il margine della maggioranza è stato sotto i 20 voti, spesso salvato dalle defezioni delle opposizioni. Questa volta sul Def arriva lo scivolone, quasi inedito secondo parlamentari di lungo corso. Che sia “sciatteria” o la “prova conclamata delle divisioni della maggioranza”, si “dimostra la totale inadeguatezza di questo Governo e di questa maggioranza”, l’attacco di Schlein. “Impreparazione e irresponsabilità politica”, dicono dal Terzo polo. “Il frutto di questa incapacità lo pagheremo noi”, avverte Giuseppe Conte, mentre il centrodestra corre ai ripari.
Nella capigruppo della Camera chiede la ripetizione del voto. Soluzione irrituale. Dai vertici arriva l’input a rispettare la richiesta del Colle a fare presto, chiudendo la vicenda nel rispetto dei regolamenti parlamentari, che sono chiarissimi. Tutto quindi da rifare, con un nuovo passaggio in Cdm, convocato a stretto giro. Riunione di 5 minuti: il Def non cambia, si approva una nuova Relazione al Parlamento con saldi di finanza pubblica confermati, che sottolinea le finalità di sostegno al lavoro e alle famiglie oggetto degli interventi programmati per il Consiglio dei ministri già fissato per il 1° maggio. Fra le 9 e le 16 Senato e Camera, in un venerdì di passione, dovrebbero approvare lo scostamento.
Tutti precettati nel centrodestra, i piani di ponte lungo saltano per molti. Intanto il pre-Consiglio preparerà i provvedimenti per il Cdm del 1° maggio. “Manterremo il nostro impegno” dice da Londra la premier: “È il giorno della festa dei lavoratori e vogliamo un segnale sul mondo del lavoro. Abbiamo convocato anche i sindacati per domenica sera, mi dispiace ma questi erano i tempi. Tutto è organizzato, confido di potermela cavare”.
La missione della premier a Londra fino a quel momento era “un grande successo”. La firma del memorandum tra Italia e Gran Bretagna che era stato cercato da due governi ma mai concluso, “l’ottimo feeling” testimoniato dalle tre ore con il primo ministro Rishi Sunak su tutto, a partire dai migranti, prima a Downing Street e poi a Westminster, in una sorta di anteprima dello scenario che il 6 maggio vedrà l’incoronazione di re Carlo III.
Ma per Giorgia Meloni il primo giorno della visita nella capitale britannica resterà quello della debacle della sua maggioranza sul Def. Lei è a colloquio con Sunak, come da programma, da meno di mezz’ora, quando da Roma arrivano le notizie di quell’inciampo che proprio non ci voleva: mancano i numeri e la risoluzione che libera i 3,5 miliardi di scostamento non passa. La linea tra Londra e Roma è rovente.
La premier, come racconta lei stessa appena rientrata in albergo, visibilmente toccata da quello che definisce un “incidente di percorso”, sente il sottosegretario Alfredo Mantovano e il ministro Giancarlo Giorgetti, che è nero per l’accaduto. Manda un messaggio nella chat interna di Fratelli d’Italia, “io non ho parole”. Tranchat. Nessuna risposta dei parlamentari. Bisogna serrare i ranghi, ognuno va richiamato alle sue “responsabilità” il messaggio che affida poi ai cronisti in una conversazione che è un fiume in piena.
Ci tiene a sottolineare che il memorandum è “un risultato enorme”, che l’Italia non deve andare col cappello in mano da nessuno, che lo stesso Sunak riconosce al governo, come dice nelle dichiarazioni a Downing street, una gestione dei conti oculata che “dà stabilità”. Ai mercati, dice con orgoglio la premier, “si risponde coi fatti”, e i fatti al momento dicono che “i nostri fondamentali vanno meglio di nazioni considerate più solide della nostra”. Una stoccata a Bruxelles, che incalza perché Roma ratifichi il Mes (“non ho cambiato idea, è una lettera scarlatta”, va visto nell’insieme delle discussioni Ue, il ragionamento) e incassi una riforma del Patto che è sì “un passo avanti” ma ancora non tiene conto della proposta “ascoltata”, dell’Italia, quella cioè di “scorporare le spese strategiche dal rapporto deficit-Pil”. Altrimenti, per la premier, c’è “incoerenza: se ci siamo dati delle priorità, transizione verde, di
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