A DISPETTO della foresta di uliveti che la ricoprono per la gran parte dei suoi duemila ettari, Macchia, ovverosia la lussureggiante distesa che pre
A DISPETTO della foresta di uliveti che la ricoprono per la gran parte dei suoi duemila ettari, Macchia, ovverosia la lussureggiante distesa che prende le mosse dalle falde del Gargano per gettarsi nel mare del golfo adriatico di Manfredonia, è più nota per quel centinaio di ettari usurpati da quel grandioso contesto, e sacrificarli ad attività del tutto agli antipodi di quella naturale grazia di Dio, portate sotto le mentite spoglie del progresso e dello sviluppo. Un inciampo rivelatesi, al tirar delle somme, funesto e foriero di miserie e distruzioni.
UNA FERITA purulenta che non si riesce a rimarginarla. Il tempo non ha portato consiglio tant’è che allorquando si pensa a sviluppare l’economia dei luoghi, si pensa invariabilmente a come utilizzare quell’area sul modello Enichem. Tutta la preponderante parte della piana la si trascura quando è quella la vera ricchezza da sviluppare. L’oro incontaminato di Macchia.
«QUANDO la produzione di olio di Macchia avrà raggiunto i 30-35.000 quintali all’anno (ora sono 10-12.000 q.li) vorrà dire che ci sarà stata la realizzazione di una serie di obiettivi che oggi non fanno parte del comune pensare della politica a cui si associa anche una diffusa e scarsa professionalità degli olivicoltori e delle maestranze che operano nel settore». Ad affermarlo è Giovanni Ciliberti, medico in pensione, votato alla olivicoltura del suo appezzamento a Macchia, ex consigliere comunale di Monte Sant’Angelo, studioso di cose locali le cui riflessioni le ha fissate nel libro “Giuwà 2” (forma dialettale di Giovanni, suo padre) nel quale affronta tematiche assai interessanti riguardanti il territorio sub garganico.
«SE SI RAGGIUNGESSE quella produzione, ma si potrebbe andare oltre – rileva facendo tesoro dei risultati ottenuti nella sua azienda – lascio al lettore immaginare il miglioramento economico e quanti posti di lavoro stabili si potrebbero realizzare». E spiega come fare: irrigazione degli oltre 2.000 ettari di uliveti della piana, realizzata anche con tubicini interrati di circa 30-35 cm che permettono un risparmio del 50% di acqua e del 65% di concimi che tra l’altro inquinano le falde acquifere; inerbimento parziale o totale, temporaneo o stabile; trasformazione dell’olivicoltura da tradizionale in intensiva con ulteriori 2-300.000 nuovi alberelli di ulivi piantati che in terreni irrigati vanno incontro a produzione accelerata; costituzione di uno o più consorzi di produttori organizzati realizzando imponenti oleifici (molitura giornaliera 2.000 quintali di olive), con la capacità economica di acquistare l’olio appena prodotto, di confezionarlo, di favorire la sua promozione, di essersi dato delle regole per migliorare la coltura con l’uso di tecnologie avanzate 4.0; realizzazione di una decina di frantoi ultramoderni a grande capacità lavorativa in grado di migliorare il processo estrattivo a vantaggio della qualità; gestione degli uliveti con l’ausilio di tecnologie avanzate 4.0 che danno informazioni sullo stato di salute degli alberi indicando quando e dove irrigare, lo stato di eventuali malattie o di attacchi da patogeni in anticipo tipo mosca dell’olivo o altri patogeni. Ciliberti ha sperimentato quanto innanzi realizzando ottimi risultati.
UNA OPPORTUNA valorizzazione di un patrimonio olivicolo eccezionale che gode di un microclima del tutto speciale che riversa sulla piana i vantaggi del mare del golfo da un lato, e dall’altro la protezione del massiccio del Gargano. Una transizione ecologica rivoluzionaria. Ma sarà mai presa in considerazione?
Michele Apollonio
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