L’annuncio arrivò mercoledì 26 febbraio 2020, fu una notizia scioccante ma non inaspettata: si trattava, in fondo e purtroppo, solo di una questione d
L’annuncio arrivò mercoledì 26 febbraio 2020, fu una notizia scioccante ma non inaspettata: si trattava, in fondo e purtroppo, solo di una questione di tempo. E così toccò al governatore Michele Emiliano comunicare che anche la Puglia aveva il proprio «paziente zero», il primo contagiato da Covid-19, un 43enne di Torricella, nel tarantino, rientrato da Codogno, la «madre» di tutte le zone rosse nell’Italia che, come il resto del mondo, stava iniziando a fare i conti con una tra le più feroci emergenze sanitarie dell’epoca moderna.
Da allora sono trascorsi esattamente tre anni e, dopo, quel primo caso, la nostra regione ne ha contati in totale 1624416, con 1606817 guarigioni, 9618 persone che non ce l’hanno fatta e 13762340 test eseguiti complessivamente (dati aggiornati al 17 febbraio).
Attualmente, i numeri sono decisamente più confortanti: gli attualmente positivi in Puglia sono 7981 (182 nuovi casi su 4159 nuovi test al 17 febbraio), con 122 persone ricoverate, 5 in terapia intensiva e 5 che non ce l’hanno fatta.
I tempi dell’emergenza vera e propria, dunque, sono fortunatamente lontanissimi ma c’è chi non potrà dimenticare facilmente le decine di ambulanze in fila per gli ingressi negli ospedali, le strade delle città completamente deserte, le autocertificazioni, la vita di tutti i giorni, con le cose permesse e quelle vietate, scandita dai colori (il temibile rosso, il preoccupante arancione, l’ottimistico giallo, e l’auspicato bianco), le ondate che si sono succedute, una dopo l’altra, e i bollettini quotidiani, con i numeri che salivano costantemente e che sembravano destinati a non calare mai.
Invece, poi sono decisamente calati e oggi l’assessore regionale Rocco Palese – nominato da Emiliano giusto un anno fa – tira un sospiro di sollievo, ribadisce che la fase emergenziale è finalmente terminata ma, allo stesso tempo, fotografa una situazione difficile per la sanità pugliese, spiegando lapidariamente che sì ne siamo usciti, però “ne siamo usciti terremotati”.
“La sanità pugliese, come tutti i sistemi sanitari d’Italia, d’Europa e penso del mondo – precisa Palese – rispetto alla situazione della pandemia, dal punto di vista organizzativo e funzionale, ne è uscita molto provata. A causa di questo vero e proprio terremoto, con reparti chiusi, montaggio di posti letto e di rianimazioni dappertutto, centri vaccinali e lockdown, abbiamo sofferto, con una grande fatica e quindi adesso stiamo cercando di rimettere in piedi una efficiente organizzazione, funzionale e strutturale, di tutto il sistema”.
Un sistema che comprende ospedali e distretti, un intero comparto che è stato messo in ginocchio e che ora deve iniziare la ripresa. A detta dell’assessore, “il virus non ha provocato soltanto morti, disgrazie e problemi con i quali, anche se in minima parte, ancora ci si confronta, ma ha provocato anche un effetto molto negativo sull’organizzazione del sistema sanitario regionale e di tutti i sistemi sanitari del mondo, è così ovunque perché ovunque è successo il finimondo”.
Tre anni dopo quei giorni terribili, dunque, se da un lato l’emergenza sanitaria vera e propria è terminata, gli strascichi strutturali si fanno ancora sentire. Palese però rassicura, spiegando che si tratta di un momento transitorio e che la situazione migliorerà. “Piano piano – dichiara – stiamo cercando di tornare, per quanto è possibile, ad avere una situazione efficiente e alla normalità”.
Per quanto riguarda i rischi veri e propri legati all’emergenza, l’assessore è decisamente ottimista: «Stiamo raccogliendo i frutti dell’impegno per le vaccinazioni, i casi Covid sono ridotti, non ci sono più le emergenze e la situazione è abbastanza gestibile, siamo in un contesto endemico che vuol dire che è governabile». I pochissimi ricoveri in rianimazione, “sono casi molto rari, ma, nella quasi totalità, sono persone che non hanno effettuato le vaccinazioni. La situazione resta sotto controllo, ma chi è fragile deve vaccinarsi, perché comunque il virus non è stato annientato”.
IL PUNTO DI LOPALCO
Il 9 marzo 2020, mentre l’Italia precipitava nell’incubo Covid, il prof. Pier Luigi Lopalco veniva nominato, con decreto del governatore Michele Emiliano, responsabile della struttura speciale di progetto «Coordinamento regionale emergenze epidemiologiche» dell’Aress, incarico che lo avrebbe visto, per mesi, in primissima linea nella guerra al virus.
Professore, qual è il suo ricordo di quei giorni tra le fine di febbraio e i primi di marzo di tre anni fa?
«Ero a Pisa, ricordo benissimo il momento in cui misi i bagagli in auto, per tornare in Puglia con mia moglie. Durante il viaggio, alla radio, sentii l’annuncio del lockdown da parte di Conte».
Come reagì?
«Mi dissi che eravamo all’inizio di un disastro».
Lo capì immediatamente, quindi…
«Ero preoccupato per la Puglia perché, sebbene non avessimo ancora grosse avvisaglie di infezione, sapevo che l’annuncio del lockdown avrebbe portato a quello che poi si verificò dopo poche ore ovvero il rientro tumultuoso di tanta gente che viveva al nord e che avrebbe sicuramente portato qualche caso qui da noi. Sicuramente fu un momento drammatico, avevo capito quali fossero le dimensioni del fenomeno e, tra le altre cose, l’Oms aveva comunque dato in qualche modo l’allarme, ricordo che il direttore generale aveva detto che eravamo di fronte a una minaccia ben più grave del terrorismo. Conoscendo gli stili rassicuranti dell’Oms, sentire quelle parole mi fece capire che fosse una situazione inedita per la storia recente».
Con il senno di poi, tre anni, dopo, quali sono state le scelte giuste e quali non rifarebbe?
«Con il senno di poi si può sempre pensare a qualche correzione, ma nella gestione generale siamo riusciti davvero a fare dei miracoli, con le risorse che avevamo a disposizione».
Quali erano le fragilità?
«Sul piano dell’assistenza la situazione era davvero preoccupante, sul piano ospedaliero eravamo deboli e abbiamo faticato tanto, per mettere su le terapie intensive, è stata una corsa contro il tempo per avere le attrezzature e i dispositivi».
Dispositivi vuol dire che non c’erano mascherine e camici?
«Ricordo drammaticamente una telefonata notturna di un direttore generale che mi chiamò per dirmi che di lì a 24 ore sarebbero finite le mascherine per la terapia intensiva».
Cosa fece?
«Fortunatamente il presidente si stava muovendo con le forniture dalla Cina e arrivarono in tempo».
Quali sono stati, invece, i punti di forza?
«Avere una rete dei dipartimenti di prevenzione molto forte ci ha permesso di mettere in piedi la sorveglianza e il sistema dei tamponi, e poi l’altro punto forte della nostra regione è stata la vaccinazione. Se non avessimo avuto i dipartimenti ben strutturati con persone che avevano un’ottima esperienza non saremmo riusciti a ottenere i risultati».
Rifarebbe la scelta della didattica a distanza?
«Come tutte le altre scelte, è stata obbligata e non voluta. Non avrei mai voluto tenere i bambini a casa. Alcune volte la Puglia è andata anche in controtendenza con le regole nazionali, ma è stato perché altrimenti la diffusione del virus nelle scuole avrebbe portato a una paralisi completa di tutto il sistema di tracciamento. Molte scelte furono frutto della contingenza».
Possiamo dire di essere fuori dall’emergenza?
«Sicuramente siamo usciti abbondantemente dall’emergenza pandemica. Le ultime ondate sono state paragonabili a una brutta influenza, lontanissime, però, della stupidaggine che il Covid sia diventato un raffreddore».
Faremo il vaccino ogni anno?
«Se la situazione in Ue, e quindi in Italia, rimarrà la stessa che abbiamo visto negli ultimi mesi, molto probabilmente quello che succederà sarà una campagna di richiami per le persone a rischio, quindi non per tutta la popolazione, che sarà stagionale ovvero ogni dodici mesi».
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