La pandemia continua a mordere non solo con gli effetti diretti del Covid, ma anche con ricadute indirette come l’avvio tardivo
La pandemia continua a mordere non solo con gli effetti diretti del Covid, ma anche con ricadute indirette come l’avvio tardivo di cure contro il tumore, a causa di diagnosi non immediate.
In Italia, quest’anno, sono stati stimati 390.700 nuovi casi, 14.100 in più rispetto al 2020. Finalmente, però, negli ultimi mesi qualcosa inizia a muoversi per quanto riguarda gli screening di prevenzione, che stanno riprendendo, mentre gli stili di vita scorretti si confermano una vera e propria emergenza.
Per esempio, a destare le maggiori preoccupazioni è il sovrappeso che interessa il 33% degli adulti, insieme all’obesità che incide per il 10%, senza dimenticare la sedentarietà, che raggiunge il picco del 31%, e il temutissimo fumo, abitudine irrinunciabile per il 24%.
I dati sono stati raccolti nel volume «I numeri del cancro in Italia 2022», dal quale si evince che il tumore più frequentemente diagnosticato, nel corso degli ultimi dodici mesi, è stato il carcinoma della mammella (55.700 casi, +0,5% rispetto al 2020), seguito dal colon-retto (48.100, +1,5% negli uomini e +1,6% nelle donne), polmone (43.900, +1,6% negli uomini e +3,6% nelle donne), prostata (40.500, +1,5%).
Come detto, i ritardi accumulati durante la pandemia pesano ma, al tempo stesso, si registra una ripresa dei programmi di prevenzione secondaria e degli interventi chirurgici in stadio iniziale ed è bene ricordare che lo scorso anno i programmi di screening sono tornati ai livelli prepandemici, per esami mammografici, per il tumore del colon-retto e quello della cervice uterina.
I dati «invitano sempre di più a rafforzare le azioni per contrastare il ritardo diagnostico e per favorire la prevenzione secondaria e soprattutto primaria, agendo sul controllo dei fattori di rischio a partire dal fumo, dall’obesità, dalla sedentarietà, dall’abuso di alcol», afferma Saverio Cinieri, presidente Aiom, Associazione italiana di oncologia medica. Un dato positivo è che a fronte dei 2,5 milioni di persone che vivevano in Italia nel 2006 con una pregressa diagnosi di tumore, si è passati a circa 3,6 milioni nel 2020, il 37% in più di quanto osservato solo 10 anni prima.
E se da una parte giungono cattive notizie, con il taglio nella manovra, di dieci milioni di finanziamenti per il 2023 e di dieci milioni per il 2024 dedicati alla prevenzione, proprio dalla Puglia arrivano notizie confortanti. Sull’ultimo numero della rivista «International Journal of Molecular Sciences», infatti, è stato pubblicato uno studio svolto da ricercatori e chirurghi dell’Unità di Urologia, Andrologia e Trapianto dell’università degli Studi di Bari. «Il carcinoma renale a cellule chiare – si legge in una nota – rappresenta il tumore maligno più frequente del rene e anche uno dei più difficili da diagnosticare e trattare poiché spesso si manifesta senza sintomi specifici e risulta resistente ai farmaci chemioterapici».
Lo studio, rispettivamente coordinato e supervisionato dai professori Giuseppe Lucarelli e Pasquale Ditonno, validato in una popolazione di quasi 500 persone operate presso l’Unità operativa di Urologia universitaria del Policlinico di Bari, si focalizza sull’individuazione e la caratterizzazione molecolare di un sottotipo di carcinoma renale dalla forma altamente aggressiva. I dati ottenuti dallo studio apportano notevoli implicazioni sia per la ricerca, perché aumentano la conoscenza dei meccanismi alla base dello sviluppo dei tumori renali, sia da un punto di vista clinico perché attraverso un semplice prelievo di sangue sarà possibile identificare un marcatore di aggressività facilmente dosabile, ponendo le basi per lo sviluppo di terapie adeguate.
COMMENTI