Non bastava la crisi causata dalla pandemia, con la perdita di posti di lavoro e la contrazione dei salari. Ci si è messo anche il caro bollette a
Non bastava la crisi causata dalla pandemia, con la perdita di posti di lavoro e la contrazione dei salari. Ci si è messo anche il caro bollette ad aggravare la situazione: si è abbattuto sulle famiglie italiane compromettendone la tenuta economica e, per i nuclei più fragili, perfino la possibilità di vivere dignitosamente. Nuove povertà si aggiungono alle vecchie: questa viene definita «povertà energetica» e calcola proprio il numero di famiglie che non riescono a pagare le bollette.
L’indagine è stata condotta dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre elaborando i dati del Rapporto Oipe (l’Osservatorio italiano sulla povertà energetica) 2020. In Italia il problema riguarda ben 4 milioni di famiglie. Non ce la fanno ad accedere a beni e servizi energetici essenziali per riscaldamento, raffrescamento o climatizzazione, illuminazione, utilizzo di elettrodomestici. La scelta per loro diventa pagare le fatture di gas e luce o «permettersi» pranzo e cena.
E la Puglia e la Basilicata non fanno eccezione. Nella prima, stima la Cgia di Mestre, la frequenza della povertà energetica è attestata tra il 14 e il 24 per cento, la fascia «medio alta». Le famiglie colpite dall’emergenza vanno da un minimo di 223.437 a un massimo di 383.035.
Ancora peggio la Basilicata, inserita in fascia «alta», tra le cinque regioni italiane, assieme a Campania, Sicilia, Calabria e Molise, in cui il problema è più grave. In difficoltà, da un minimo di 56.459 a un massimo di 84.688.
In generale, le famiglie più a rischio sono quelle con un elevato numero di componenti, che vivono in abitazioni datate e in cattivo stato di conservazione, in cui il capofamiglia è giovane, spesso indigente o immigrato.
A livello territoriale la situazione più critica si presenta nel Mezzogiorno, dove la frequenza della povertà energetica oscilla tra il 24 e il 36% delle famiglie. In Campania, ad esempio, il range va da almeno 519mila nuclei in difficoltà a quasi 779mila, in Sicilia da poco più di 481mila a 722mila e in Calabria da poco oltre le 191mila fino a quasi 287mila unità.
Ed è sempre nel Centro e nel Sud che si registra una frequenza della povertà energetica medio alta: nella fascia tra il 14 e il 24%, oltre alla Puglia, figurano la Sardegna, con una forchetta che varia da quasi 102mila fino a poco più di 174mila, ma anche regioni come Marche, Umbria e Abruzzo.
Tra le regioni che, al contrario, si trovano nella fascia medio bassa (tra il 10 e il 14% di frequenza) ci sono il Lazio, il Piemonte, la Liguria, il Friuli Venezia Giulia e la Valle d’Aosta. Infine, i territori meno interessati dal fenomeno della povertà energetica, dove il range oscilla tra il 6 e il 10%: Lombardia, Veneto, Emila Romagna, Toscana e Trentino Alto Adige.
«Secondo gli ultimi dati dell’Istat riferiti al 2019 – ricorda la Cgia di Mestre – in Italia il rischio povertà delle famiglie dove il reddito principale è riconducibile a un lavoratore autonomo era pari al 25,1 per cento, contro il 20 per cento ascrivibile alle famiglie che presentavano la fonte principale di reddito da lavoro dipendente. Se dall’avvento del Covid fino al gennaio di quest’anno il numero degli occupati tra i lavoratori indipendenti è sceso di 185mila unità, tra i dipendenti la contrazione è stata pari a 79mila. Possiamo quindi affermare con buona approssimazione che, anche per quanto riguarda la povertà energetica, in questi ultimi 2 anni i nuclei dove il capofamiglia è un autonomo la situazione è peggiorata in misura maggiore che fra le realtà dei lavoratori dipendenti».
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