Manfredonia ed il suo centro storico (…e pensare che qualcuno voleva pure demolire il Castello!)

Qualche mese fa, in occasione dell’accensione delle luci di Natale,a Manfredonia, un tale aveva scritto, su un quotidiano on line, che la nostra c

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Qualche mese fa, in occasione dell’accensione delle luci di Natale,a Manfredonia, un tale aveva scritto, su un quotidiano on line, che la nostra città “non ha un centro storico!”. Indubbiamente, la persona era “male informata” circa le origini della comunità sipontina, dove “obtorto collo”, la stessa “persona” pur vi abita… da tempo.

I centri storici costituiscono un argomento per definizione complesso e irriducibile a sintesi, e dire che Manfredonia non ha un “centro storico” è una parola grossa. Il problema semmai è come indicare un centro storico, o meglio che cosa è un centro storico, ovvero che concetto si ha.

La prima definizione di centro storico l’abbiamo nel 1964 ad opera della Commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e del paesaggio. Essa lo definisce come “quella struttura insediativa urbana che costituisce unità culturale o la parte più originaria più autentica di insediamenti e testimonia i caratteri di una viva cultura urbana”.

In alcuni dizionari e trattati di architettura si può anche rilevare: “Nucleo originale di una città, datato almeno di un secolo” (il centro storico di Manfredonia ha almeno 700 anni).
Il concetto di c.s. nasce all’inizio dell’Ottocento, in piena rivoluzione industriale quando, in opposizione al concetto di città moderna, il tessuto urbano della città storica si scontrava con le nuove esigenze organizzative dettate dalla crescita urbana.

La tutela dei centri storici, in quanto beni culturali, trova fondamento nell’art. 9, comma 2, della Costituzione, il quale sancisce che “la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”; norma che, anche per la sua collocazione tra i principi fondamentali, attribuisce alla tutela di questi beni un valore “superiore”, idoneo a qualificare, orientandola, la stessa azione dei pubblici poteri.

Fino ad oggi il legislatore ha preso in considerazione i centri storici solo sotto il profilo urbanistico, “ignorandone le caratteristiche che fanno di loro soprattutto dei beni culturali”, mettendo da parte l’indirizzo emerso, in sede di riordinamento del settore, in seno alla commissione Franceschini (istituita con la legge 26 aprile 1964, n. 310) che, nella prima metà degli anni ’60, aveva fatto il punto sulle dolorose condizioni in cui versavano le nostre più importanti città storiche dopo le devastazioni della seconda guerra mondiale, tenuto conto, quasi sicuramente, della c.d. “Carta di Gubbio”.
Quest’ultima faceva riferimento ad alcuni principi in materia di salvaguardia e risanamento dei centri storici, i quali mettevano in rilievo come fosse stato sbagliato, fino a quel momento, prendere in considerazione il singolo monumento, enucleandolo dal complesso urbano, quando occorreva considerarlo un tutt’uno con il suo contesto di appartenenza. E questo in contrapposizione alla ideologia degli sventramenti di epoca fascista che hanno prodotto ferite non rimarginabili come Via dei Fori Imperiali e Via della Conciliazione a Roma, per esempio.

La commissione Franceschini, facendo propri i principi emersi dal convegno di Gubbio, ne formulò di ulteriori, ai quali avrebbe dovuto attenersi il legislatore futuro, mettendo in rilievo come per la tutela dei centri storici ci si dovesse orientare non solo nel senso di mantenere le caratteristiche costruttive esistenti, ma si dovesse operare anche attraverso interventi di consolidamento, restauro, risanamento igienico-sanitario che ne migliorassero la vivibilità. Inoltre, la commissione sottolineò anche la necessità di regolamentare il traffico affinché la circolazione indifferenziata dei veicoli non ne alterasse l’equilibrio e non ne imbruttisse il tessuto storico-urbano (a Manfredonia negli anni ’70 si parcheggiava all’interno di Piazza Duomo).

Nemmeno il Codice dei beni culturali e del paesaggio prende in considerazione i centri storici come aree da sottoporre a tutela: conseguenza è stata, negli anni, la radicale modificazione di alcune zone storiche delle nostre città.

Un processo che Roma, Milano e Napoli hanno vissuto fin dagli ultimi decenni dell’Ottocento e che in alcuni casi non si è mai fermato. Su tutti il Rettifilo nella capitale partenopea, Piazza Vittorio e Via XX Settembre nell’urbe capitolina, oppure più recentemente la totale reinvenzione di Piazza della Vittoria a Brescia, di Piazza Grande a Livorno, Piazza Sant’Oronzo a Lecce.

La nascita della città “moderna” ha determinato la scomparsa di interi quartieri storici, e nel caso in cui essi si siano conservati si è verificata in alcuni casi, la scomparsa di tutto ciò che caratterizzava l’agglomerato urbano storico.

A Manfredonia grazie alla “speculazione edilizia” degli anni ’60 e ’70 del XX secolo si è avuto un cambiamento della fisionomia del nostro centro storico.
Se vogliamo, Manfredonia ha due centri storici “noblesse oblige”, il primo quello dell’antica Siponto con il Parco Archeologico: “Siponto, quod nuncdiciturManfridonie”, e ne da prova quanto scritto nel Datum Orte databile 1263. E poi quello Angioino-Aragonese, con le mura, le torri, le chiese ed i “quartieri” disegnati da Piero d’Angicourt.

La cosiddetta “Novella Siponto”, o che dir si voglia Manfredonia, era ed è una città all’avanguardia dal punto di vista della pianta urbana (Villani, Malispini fra’ Salimbene, ecc.) (in Puglia non ci sono di simili), con i suoi cardini e decumani, posta allefalde del monte Gargano in modo che potesse raccogliere le acque piovane ed implementarle nelle piscine poste a nord dell’abitato, con le sue porte veri e propri corridoi per far defluire la pioggia. E quando si è costruito nei canaloni( compiacenti i cosiddetti “politici” d’avanguardia sipontini), abbiamo avuto terribili conseguenze, vedi l’alluvione del 1972.

L’Angicourt ed il Toulle (architetti angioini) fecero di “Manfridonia” un unicum urbanistico, che si è tramandato fino ai nostri giorni, eppure nella toponomastica cittadina ci sono pochissime tracce della casa Gigliata. L’opera in base alla quale si tramanda la leggenda della fondazione di Manfredonia da parte di Re Manfredi, è i “Diurnali” o “Notamenti”del “fantomatico” Matteo Spinelli da Giovinazzo, un “Nardacchione” del XIII secolo. Ma è stato dimostrato dagli storici tedeschi nel corso dell’800 , che si tratta di un falso; ed oggi è definitivamente screditata e universalmente relegata tra le creazioni apocrife.
La diatriba è considerata definitivamente risolta e le effemeridi di Matteo Spinelli sono universalmente considerate operaprobabilmente di Flavio Biondo e Giovanni Villani (ci dispiace tanto per chi, pare, si sia reincarnatonel Re biondo…e bello … e di gentile aspetto).

Chiesa di San Benedetto, ex Palazzo Pretorio

 

Ritornando al fulcro nevralgico sipontino, chi si avventura nel centro storico partendo dalla cosiddetta Porta Foggia (Porta dello Spuntone), quella che era posta all’imbocco di Corso Manfredi (così chiamato solo verso il 1870), prima “Ruga magna selcata” e poi “strada delle piazza”, troverà subito il Convento dei Celestini, e difronte la Chiesa del Carmine. Sempre camminando per Corso Manfredi, a nemmeno cinquanta metri il Cortile Marasco con quello che rimane dei resti dell’antico convento di San Benedetto. Camminando ancora in Piazza del Popolo, non crediamo che non abbia alcuna autenticità storica il Palazzo De Florio o Mettola, (i de Florio consoli ragusini a Manfredonia) oppure il Palazzo San Domenico con la chiesa Angioina che racchiude i resti della probabile Sinagoga di Siponto, oggi Cappella della Maddalena; una piccola deviazione sulla via omonima (già Ruga della Confectaria), con le caratterizzazioni della “sipontinità”: Arco del Boccolicchio (buculum ad macellum), su cui si osserva l’avanzo del gotico palazzo, sede della “Casa Magna Precettoria dei Cavalieri Teutonici, fondaci per il deposito delle pelli, della lana, del sale, del grano, ecc. il largo Teatro Vecchio (che ha ospitato uno dei primi teatri in Puglia (inizio ‘700), con il grande magazzino-sylos principe di Baselice.

Masseria Mozzillo in Viale Beccarini

 

Si ritorna indietro, per continuare fino a Palazzo Mettola (presso il pertugio del monaco), alla Chiesa della Stella (con i due leoncini provenienti da Siponto) e… guarda caso a Manfredonia “ci” abbiamo pure un Castello, che negli anni ’70 alcuni amministratori originari di un paese vicino, volevano abbattere per costruire civili abitazioni, tanto dicevano: “nu castille uà stejie” (di tale determinazione ci sono gli atti consiliari).

Ma se poi vogliamo camminare per Corso Roma (già “ruga S. Mathei”) troviamo, sul quello spiazzo vi è l’avanzo del Piano delle fosse, ignorato da un assessore originario sempre di un paese vicino – e non solo a lui – (succede! Ah quante cose “succedono” qui da noi).

Ma proseguiamo: con il palazzo Tontoli, con lo storico vicolo S. Martino. E poi, quasi d’inciampo, vi è il bellissimo Palazzo Delli Santi, di un vivissimo barocco, con i balconi forgiati in un magnifico ricamo in ferro; il Palazzo Granatiero, il Palazzo Vischi, con il caratteristico “Cortile dei vecchi mulini”, poi il neo classico Palazzo Cessa; indi il palazzo Capuano (poi palazzo Capparelli) e dirimpetto il magnifico loggiato di palazzo de Florio.

Corso Manfredi

 

Si arriva quindi in Piazza Duomo e, oltre la Cattedrale (rifacimento della cattedrale di epoca angioina), della seconda metà del ‘600, l’episcopio e il Campanile (scusate se è poco), si possono trovare anche gli avanzi della Cappella di S. Lucia ed il Cortile Fascione (con la Sede del primo seminario diocesano, fine sec. XVI). Sempre in questa via, non può mancare uno sguardo sull’antico Ospedale Orsini, e sul Palazzo Scarnecchia, con le due colonne provenienti da Siponto, su Palazzo Delli Guanti, con l’elegante loggiato e con la Croce cosiddetta “miracolosa”.

Si sfocia su via Seminario, osservando l’omonima costruzione di delicata fattura barocca, lasciando alle spalle il maestoso palazzo Tortora.

Via Arcivescovado angolo Via Tribuna ieri ed oggi

 

E prima di percorrere il decumano medievale va dato uno sguardo alla chiesa S. Francesco (sec. XIV). E siamo su Via Tribuna (ruga de Comite o ruga degli Sclavoni) e si incontrano, man mano, i Palazzi De Nicastro, Granatiero, Cieri-Guerra. Più avanti si può notare l’ex Palazzo Pretorio (ossia sede dell’Università sipontina) con tanto di porticato ancora visibile e con il portone d’ingresso sormontato dallo stemma della Città (San Lorenzo a cavallo), subito dopo la chiesa di Santa Chiara, sita nel palazzo gentilizio di Elisabetta de Florio, tramutato in Monastero, ed ancora S. Maria delle Grazie ed il leggiadro cortile Moschillo.

Palazzo di Cavalleria, Corso Roma

 

Per ragioni di spazio non abbiamo detto dei resti delle mura sul lungomare, dei torrioni, dell’Arco Boccolicchio, e del gioiellino che è diventata Via Santa Maria (non dimentichiamoci della chiesa con il pregevole soffitto in legno che andrebbe restaurato), ecc. ecc.

Per ragioni di spazio non abbiamo detto dei resti delle mura sul lungomare, dei torrioni, dell’Arco Boccolicchio, e del gioiellino che è diventata Via Santa Maria (non dimentichiamoci della chiesa con il pregevole soffitto in legno che andrebbe restaurato), ecc. ecc.

Soffitto ligneo chiesa Santa Maria delle Grazie

Il centro storico sipontino è un complesso di stili edi architetture che andrebbe esaminato, fruito e “goduto” con cura, che andrebbe definitivamente studiato e salvaguardato. Abbiamo i “cortili”, dal latino “cahors-ortis” (spazio scoperto, circondato da muri o da edifici, facente parte di una abitazione; Dizionarie Grand Larousse Universel 1997), che andrebbero riqualificati con un piano colore e di rivestimento.

Il centro storico di Manfredonia, dal punto di vista sociologico non è più quello di una volta. Su Corso Manfredi ai piano terra non vi abita più nessuno. Sono sparite le porte alla romana.

 

Ci sono numerosi negozi che ne fanno un centro commerciale invidiato ed apprezzato. Purtroppo, molto è andato distrutto dalla cupidigia edilizia, ma vu pur detto che lo stesso si è ridondato su stesso, per cui era inevitabile, che con il tempo si dovevano verificarsi dei rimaneggiamenti. Per avere un’idea di quello che doveva essere il Centro storico sipontino, basta esaminare la pianta del Pacicchelli (inizio ‘700).

Monastero di Via Maddalena

Prof. Dott. Giovanni Ognissanti
Direttore Archivio Storico Sipontino

1 Wilhelm Bernhard (1834-1921) ne dimostrò la falsità in uno scritto del 1868e la sua posizione fu strenuamente appoggiata da Bartolomeo Capasso che vi dedicò due memorie nel 1871e nel 1895. La genuinità della cronaca fu sostenuta invece da un amico e collega di Capasso, lo storico Camillo Minieri Riccio, che si spese con vari contributi arrivando perfino a individuare la data di nascita dell’autore nel 1231.

L’ingresso di Palazzo Pretorio con lo stemma di San Lorenzo

 

 

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