E’ conforme al diritto Ue il fatto che uno Stato membro dia più permessi di ricerca sugli idrocarburi allo stesso operatore, anche se le attività
E’ conforme al diritto Ue il fatto che uno Stato membro dia più permessi di ricerca sugli idrocarburi allo stesso operatore, anche se le attività insistono su zone contigue. Lo ha chiarito la Corte di Giustizia europea sul caso che ha visto la Regione Puglia ricorrere contro le quattro concessioni ottenute nel mare Adriatico, al largo della costa pugliese, dalla società australiana Global Petroleum.
Il tutto, spiega la Corte Ue, “a condizione di garantire a tutti gli operatori un accesso non discriminatorio a tali attività e di valutare l’effetto cumulativo dei progetti che possono avere un impatto notevole sull’ambiente”.
“La Corte rimette al Giudice nazionale (il Consiglio di Stato) la questione relativa alla valutazione di impatto ambientale dando indirizzo perché essa sia svolta sommando ogni singola autorizzazione alla prospezione e ricerca di idrocarburi in mare, e quindi accogliendo nella sostanza le preoccupazioni della Regione Puglia sulla raffica di autorizzazioni contigue rilasciata nel mare della Puglia. In questo modo sarà possibile mettere un freno a questa modalità legittima, dice la Corte, ma che non può aggirare le normative sulla valutazione di impatto ambientale”. Lo ha detto il governatore Michele Emiliano con una nota.
“Il ricorso della Regione Puglia non è stato respinto perché la palla è ritornata al Consiglio di Stato che deve ancora decidere. Adesso in compresenza di più autorizzazioni su aree contigue, in termini cumulativi, sarà più difficile ottenere una valutazione di impatto ambientale positiva. Sul punto la Regione ha infatti formulato specifico motivo di appello e, peraltro, lo stesso Consiglio di Stato in sede di rinvio alla Corte di Giustizia aveva precisato che la tecnica dell’air-gun (consistente nell’utilizzare un generatore di aria compressa ad alta pressione) per generare onde sismiche che colpiscono il fondale marino, può essere dannosa per la fauna marina.
Pertanto la Corte di Giustizia, benché la questione pregiudiziale verta sulla possibilità che uno stesso operatore richieda più autorizzazioni alla ricerca, ha indicato al Giudice nazionale la necessità, sotto il profilo ambientale (direttiva VIA), di verificare se siano stati considerati gli effetti cumulativi dei progetti oggetto di giudizio.
Afferma infatti la Corte che spetta alle autorità nazionali competenti tener conto di tutte le conseguenze ambientali che derivano dalle delimitazioni nel tempo e nello spazio delle aree oggetto dei permessi di ricerca degli idrocarburi, per evitare una elusione della normativa dell’Unione (direttiva VIA), tramite il frazionamento di progetti che, messi insieme, possono avere un impatto notevole sull’ambiente.
Quindi se è vero che la normativa italiana, che consente ad uno stesso operatore di richiedere ed ottenere più autorizzazioni alla ricerca di idrocarburi, non contrasta con il diritto dell’Unione, è anche vero che in sede di valutazione dell’impatto ambientale (a norma dell’art.4 paragrafi 2 e 3 della direttiva VIA) deve essere valutato anche l’effetto cumulativo dei progetti che possono avere un impatto notevole sull’ambiente”.
Di Salvatore: “Sentenza utile”
“La sentenza non è affatto inutile, poiché chiarisce, semmai ve ne fosse stato bisogno che la “Via” per permessi contigui impone che si consideri sempre l’impatto che l’esercizio di tali attività hanno cumulativamente sull’ambiente, che tutti i titoli sono esclusivi e che lo sarebbe anche il “permesso di prospezione” (cosa che in Italia non è); e, infine, che il problema non riguarda tanto l’estensione territoriale dei titoli, quanto la durata degli stessi.
È la loro durata a porre problemi di compatibilità con la libera concorrenza; ed è per questo che proroghe eterne – come accade in Italia per le concessioni di coltivazione – non sarebbero legittime” Lo scrive su facebook il costituzionalista dell’università di Teramo Enzo Di Salvatore, promotore del referendum sulle trivelle nel 2016, consulente di alcune regioni adriatiche per la materia.
Di Salvatore interviene dopo la sentenza dei giorni scorsi della Corte di Giustizia europea sul caso che aveva visto la Regione Puglia ricorrere contro le quattro concessioni ottenute nel mare Adriatico, al largo della costa pugliese, dalla società australiana Global Petroleum.
“La Corte di Giustizia giustamente osserva che il divieto dei 750 kmq concerne non la singola multinazionale, ma il singolo permesso di ricerca; per cui una stessa società petrolifera può benissimo concorrere assieme ad altre all’ottenimento di un permesso di ricerca per un’area confinante con quella per la quale ha già ottenuto un permesso di ricerca – prosegue il docente – il problema non è capire come vada interpretata la direttiva, ma come vada interpretato il divieto fissato dalla legge italiana, giacché: o è da ritenere che quel divieto sia irragionevole (e allora il problema si convertirebbe in una questione di legittimità costituzionale) o è da ritenere che esso sia posto a presidio della concorrenza nel mercato”.
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