Michela Mastroluca (ex consigliera PD): “La vecchia guardia PD ha avuto esattamente ciò che meritava”

Da quando mi sono dimessa dal Partito Democratico, ormai circa un anno fa (dimissioni che sono arrivate parecchi mesi dopo da quello che era stato g

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Da quando mi sono dimessa dal Partito Democratico, ormai circa un anno fa (dimissioni che sono arrivate parecchi mesi dopo da quello che era stato già il mio reale allontanamento, nei fatti, da quella realtà, a qualsiasi livello), ho voluto prendermi un lungo periodo di silenzio politico.
L’ho fatto perché maturare quella scelta era stato per me un momento sofferto (ma necessario) visto che per lunghi anni ho provato a combattere le battaglie internamente, in quella che a lungo avevo ritenuto “casa”.
L’ho fatto, forse, fin troppo tardi perché il senso di malcontento ed estraneità, rispetto ad un contesto in cui ero cresciuta, maturava da tempo.
A lungo ho pensato che, essendo la mia collocazione naturale e valoriale quella del centrosinistra, avrei potuto provare a cambiare le cose dall’interno.
Poi è arrivato il momento di prendere atto che mi stavo sbagliando.
Che dall’interno nulla sarebbe mai cambiato
Perché c’erano dinamiche fin troppo incancrenite ed una gestione del partito fatta “di amici e parenti di” dove se non eri allineato eri l’elemento da zittire ed emarginare.
Ed in più di una circostanza mi sono sentita solo “una voce che gridava nel deserto”.
Un deserto fatto di arroganza ed interessi personali in cui era necessario preservare i fedelissimi per conservare le proprie posizioni, ossia le posizioni di chi, alla fine, gestiva le fila dei giochi.
Tante, tantissime persone hanno finito col lasciare quella realtà travolte da profonda disillusione.
Da “voce che gridava nel deserto”, in tempi non sospetti, durante una direzione all’interno del partito (dopo la caduta della scorsa amministrazione) mi ritrovai a dire (quasi ad implorare) un’intera classe dirigente a farsi da parte.
Affermavo che questa, tutta, avesse contribuito alla debacle del paese e del partito, e se in tempi floridi non aveva lasciato spazio affinché avvenisse un ricambio generazionale, che lo facesse almeno quando ormai c’erano da lasciare soltanto le macerie (e di queste mie affermazioni ci sono tutt’oggi tracce scritte).
Ma il tentativo che quella stessa classe dirigente ha cercato di fare sin da subito, sin dalla caduta dell’amministrazione, è stato quello di provare ad alterare la narrazione della storia, cercando di raccontare come l’unico colpevole di ogni fallimento fosse stato solo l’ex sindaco Angelo Riccardi (al quale, intendiamoci, non faccio sconti di alcun genere).
Ma davvero gente che ha scritto la storia degli ultimi 25 anni ha creduto fosse possibile rendere convincente il messaggio che un fallimento politico di siffatta portata non coinvolgesse loro e non riguardasse loro?
Gente che ha ricoperto ogni sorta di incarico, che ha influito in tutte le decisioni, che sistematicamente ha umiliato organi dirigenziali di partito (perché le decisioni vere e reali venivano prese sempre altrove, magari in qualche noto bar, tanto poi sarebbero sempre state avvallate dalla solita schiera di fedelissimi, tesserata per tempo) pensava che bastasse prendere le distanze dal “lupo cattivo” per convincere i nostri concittadini della loro estraneità ai fatti?
Veramente pensavano di sbandierare un ricambio generazionale senza che nessuno si rendesse conto quanto questo fosse solo di facciata?
Perché non basta mettere persone nuove nelle liste, se poi queste sono solo l’espressione, solo un po’ meno sfacciata, di chi ha deciso le sorti, per più di 20 anni, di questa città.
Perché non basta se poi ogni singola scelta viene presa dai soliti noti.
E di questo il nostro paese se n’è ampiamente accorto.
Ci si è come al solito riempiti la bocca di “ricambio generazionale”, salvo poi far ricadere la scelta del candidato sindaco su una persona che ha ricoperto quell’incarico più di 20 anni fa.
E sia ben inteso: la mia non è una critica al candidato sindaco Geatano Prencipe, del quale apprezzo la caratura culturale, ma l’obiettivo della mia disamina è la vecchia guardia in toto.
Perché un partito che in 20 anni non è riuscito a formare e a far crescere tra le sue fila qualcuno che oggi fosse stato in grado di raccogliere su di sé quella sfida è un partito che ha fallito.
E non solo non ha fatto crescere una nuova classe dirigente, ha anche tagliato le ali a quella che piano piano, timidamente, con pazienza e con gli anni, provava ad affermarsi.
Formare e non ostacolare una nuova classe dirigente non vuol dire solo mettere un po’ di giovani qui e lì, ma arrivare alla consapevolezza che ad un certo punto una storia è finita, che si debba smettere di cercare di tenere le redini di ogni decisione a qualunque costo.
Che sia giunto il momento di farsi da parte, anche dal “dietro le quinte”.
È questo che i manfredoniani hanno detto a gran voce in questa tornata elettorale: basta!
Basta coi soliti noti. Basta con chi ha scritto la storia di questi ultimi 25 anni.
Basta con l’arroganza di chi pensa che la propria vicenda politica non sia ancora tramontata.
È finalmente finita.
E se qualcuno, anche questa volta, non arriverà a capirlo allora non saremo più nella semplice arroganza, ma nel totale delirio di onnipotenza.
Ho cominciato queste righe affermando che mi ero presa un lungo silenzio politico perché non era facile per me, dopo tutto quello che avevo speso nei miei lunghi anni di militanza, pensare di ricollocarmi dall’oggi al domani.
Non mi sono neanche candidata perché per me fare politica non significa sventolare una bandiera di circostanza per poi passare subito ad una collocazione successiva.
Per me la politica è ancora una cosa seria che faccio solo per passione.
Il mio auspicio è che questa lezione serva per la ricostruzione reale, vera, nei fatti, di un nuovo centrosinistra, che preveda non solo persone nuove, ma modalità completamente differenti.
I giri sulla giostra sono terminati anche per chi sta finendo di compierne il suo ultimo.
Poi arriverà anche per loro il momento di scenderne definitivamente.
Perché è questo che vi ha detto il nostro paese.
Vi ha detto: “basta!”
Fatene buon uso.
Almeno stavolta.

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