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sono avvenuti cambiamenti importanti, nel periodo di confinamento, nella logistica, commercio, vendite on line, ciclo dei rifiuti, nelle campagne… lavori molto cresciuti e fatti prevalentemente da stranieri, senza protezione, sicurezza…
Il quadro offerto dall’informazione è confuso, parcellizzato, frantumato. I toni sono risonanti e allarmanti e puntano sul fattore economico. Che è importante. Ma non è il solo.
In questi anni c’è stata un’enfasi sulla meritocrazia, che ha reso accettabili redditi molto alti, accumuli di incarichi… si è spento lo sguardo verso il lavoro non qualificato, quello che possono svolgere i “senza titolo di studio e competenze”, anche gli immigrati… Eppure si tratta di lavori che rendono possibile l’arrivo della frutta a mercati e supermercati già in prima mattinata, la raccolta di pomodori, la pulizia delle spiagge… Si è azzerata la solidarietà, si è spezzato il legame di coesione con una parte importante della popolazione. Migliaia di persone che lavorano nell’anonimato, operai gli uni contro gli altri, spesso stranieri che non conoscono la lingua e non riescono a comunicare disagi e malesseri. E i sindacati o non ci sono o si scontrano tra di loro. Si è approvato un decreto dignità… Come se fosse possibile una legge per crearla e difenderla! Quello che manca è la democrazia elementare, luoghi dove discutere, rappresentare i diritti, raccogliere le sofferenze, difendere la dignità…
In questi giorni si decide lo sblocco dei licenziamenti. Si temono conseguenze disastrose. Eppure il quadro che si presenta è diversificato. Mancano figure necessarie (bagnini, camerieri…), molti preferiscono il reddito di cittadinanza (e un po’ di nero) a lavori che non danno garanzie di continuità. Manca una riflessione sulle attività manuali, come se dietro non ci fossero persone, pensieri, sensibilità. Si parla di lavoro futuro, quello delle nuove competenze e professioni previste nel Recovery plan. Non si parla del “lavoro di merda”, quello che possono svolgere i Neet (giovani che né studiano e né lavorano).
Le misure prese in Puglia per vietare la raccolta nelle ore più calde. Pensate che servirà? Ci sono giorni in cui le ore più calde sono quelle dopo le ore sedici, quando l’aria è immobile e non c’è un alito di vento… Danno però un segnale. Eppure basterebbe poco altro. Acqua fresca, dieci minuti di riposo all’ombra ogni paio d’ore, cappelli… In televisione mostravano qualche giorno fa vassoi colmi di anguria e frutta fresca distribuiti ai bagnanti di lidi pugliesi. Forse bisognerebbe fare la stessa cosa per coloro che stanno sotto il sole per ore! Ho lavorato un’intera stagione alla raccolta dei pomodori e prima ancora alla raccolta di barbabietole. Era duro, il sudore si mescolava alla polvere, le mani si muovevano autonomamente e la mente si sforzava di pensare ad altro. Certe attenzioni comunque c’erano. Una pausa di alcuni minuti a ogni filare, per “fumare la sigaretta” o distendere il corpo sulla terra e scherzare tra noi. C’erano proprietari che non facevano mancare l’acqua. Si vedevano immigrati (polacchi) che alzavano tende improvvisate, teloni nei bordi del campo, per momenti di pausa… Si “recuperavano” al mattino presto, nei campi vicini, angurie che si mettevamo al fresco nella terra o sotto le foglie…. C’erano momenti di solidarietà, di gioco, di confidenze e quel lavoro faticoso diveniva umano.
Un fornaio non riesce a trovare un apprendista per turni di notte. I giovani rifiutano i lavori con turni inaccettabili e rapporti di subordinazione stupidi e ottusi. Eppure ho conosciuto in un barbiere di periferia giovani che vanno ogni giorno da Manfredonia nei Comuni dei Monti Dauni a vendere il pesce. Si alzano la mattina alle tre. Accettano quel lavoro, lo fanno in gruppo, ascoltano musica mentre viaggiano e lavorano… L’assistenza agli anziani allettati non è un lavoro piacevole, bisogna pulirli. aiutarli a defecare, ma è utile. E gli anziani mostrano gratitudine. “Il lavoro di merda”, sporco e malpagato, è diverso dal lavoro stupido (bullshit jobs), che non sporca, spesso è ben remunerato, ma non ha uno scopo.
Paolo Cascavilla
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