Imprenditori e caporali, tutti i nomi dell’operazione “Schermo”.

Sono finiti in carcere per l’operazione “Schermo” i foggiani Nicola Marucci, 69 anni e Danilo Cataldo, 43 anni e il senegalese Abou Danssokho, il 32en

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Sono finiti in carcere per l’operazione “Schermo” i foggiani Nicola Marucci, 69 anni e Danilo Cataldo, 43 anni e il senegalese Abou Danssokho, il 32enne presunto caporale conosciuto con il nome “Nicola”. Questi i principali nomi del blitz messo a segno ieri da procura e carabinieri contro lo sfruttamento del lavoro nei campi agricoli foggiani. Gli investigatori hanno svelato un sistema artificioso e consolidato per aggirare le regole. Un sistema apparentemente legale, volto ad eludere i controlli, che avevano ideato gli indagati, tutti consapevoli delle dinamiche illegali. Per queste ragioni sono finiti agli arresti anche alcuni imprenditori. I domiciliari sono stati disposti per gli imprenditori agricoli Donato Placentino, 63 anni di San Giovanni Rotondo, Angela Nazaria Siena, 49 anni di San Severo, Luigi Lattanzio, 50 anni di Foggia residente a Termoli e Paolo Treviso, 54 anni di Mola di Bari ma residente a Ordona. Le aziende agricole riconducibili a Placentino, Siena e Treviso sono state sottoposte a controllo giudiziario.

Gli investigatori hanno accertato e documentato le condizioni di sfruttamento cui erano sottoposti numerosi braccianti africani provenienti dagli insediamenti di Borgo Mezzanone e del Ghetto di Rignano. I lavoratori venivano assunti da una locale cooperativa “schermo” operante sotto una cornice di apparente legalità nella gestione dei rapporti di lavoro, data dalla sola comunicazione di assunzione UNILAV, successivamente destinati “a titolo oneroso” ad altre aziende agricole per raccogliere i pomodori nelle province di Foggia e Campobasso, tutti in precarie condizioni igienico-sanitarie e in forte stato di bisogno.    

Le prolungate, complesse e articolate indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Foggia e condotte dai militari della Sezione Operativa del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia Carabinieri di San Severo e da quelli del Nucleo Ispettorato di Foggia, hanno preso spunto dalla denuncia sporta presso gli uffici di polizia del capoluogo dauno da due cittadini della Guinea Bissau che lamentavano le condizioni di sfruttamento cui erano sottoposti – dal senegalese “Nicola” – per la raccolta di prodotti agricoli nelle campagne di Capitanata.

Due agricoltori foggiani dopo aver creato la società fittizia – funzionale a garantire una facciata di regolarità all’operazione – tramite il senegalese dimorante nella baraccopoli di Borgo Mezzanone reclutavano o facevano reclutare centinaia di connazionali anche nel Ghetto di Rignano – per condurli a raccogliere pomodori presso i propri terreni i terreni di altre aziende committenti – i cui titolari sono stati raggiunti oggi dal blitz – a bordo di furgoni e autovetture vetuste. 

Servizi di osservazione e pedinamento sono bastati ai carabinieri per comprendere le dinamiche: i braccianti africani venivano prelevati dalla baraccopoli di Borgo Mezzanone/Ghetto di Rignano e da lì, a bordo di precari automezzi, venivano trasportati – dietro pagamento al vettore in alcuni casi della cifra simbolica di 5 euro – nelle campagne di Manfredonia, Stornara, Foggia Borgo Incoronata, San Severo, Ordona ed il comune molisano di Campomarino per essere impiegati a ritmi estenuanti, senza i previsti dispositivi di protezione individuale e soggetti a controlli serrati da parte dei caporali.

La chiara fotografia della situazione rappresentata alla Procura della Repubblica di Foggia, che sul fenomeno del caporalato aveva già fornito direttive precise nel recente passato, ha permesso di avviare l’indagine denominata “Schermo”, condotta da marzo 2020 a febbraio 2021, attraverso numerosissimi servizi di osservazione, controllo e pedinamento, anche con il fondamentale ausilio delle attività tecniche d’intercettazione telefonica, nonché dalle escussioni degli lavoratori e degli accessi ispettivi presso le aziende con successiva analisi della documentazione grazie alle quali è stato possibile cristallizzare il sistema di intermediazione e sfruttamento creato funzionale solo a garantire profitto per gli ideatori a svantaggio dei cittadini africani sfruttati. 

Si partiva dalla creazione della società con fittizio amministratore – irreperibile dal 2011, passando dalla selezione e reclutamento della manodopera messa in piedi dalla “Cooperativa Schermo” resa possibile dal “caporale” dimorante nella baraccopoli di Borgo Mezzanone fino alla somministrazione abusiva dei lavoratori nei terreni di proprietà o comunque nella disponibilità degli imprenditori che ne traevano i profitti dall’utilizzo dei diseredati braccianti.  

Venivano attuate delle strategie volte ad eludere i controlli dell’ispettorato e degli altri organi ispettivi, tramite la stipula di contratti di compravendita di prodotti agricoli e fatturazioni per operazioni inesistenti, in modo da non far apparire i reali datori di lavoro come effettivi titolari dei rapporti con i lavoratori reclutati, favorendo così i datori di lavoro ad eludere le leggi in materia. Invero, la “Cooperativa Schermo” forniva a titolo oneroso un “pacchetto di raccolta di pomodori in condizioni di sfruttamento”, fungendo come un’agenzia interinale senza averne i requisiti ministeriali, favorendo così gli imprenditori ad eludere la legge sul collocamento (assunzioni del personale, l’elaborazione del Libro Unico del Lavoro e delle buste paga, la sottoscrizione di contratti di lavoro e gli adempimenti in materia di igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro, Documento Valutazione dei Rischi, Visite mediche, formazione informazione e Dispositivi di Protezione individuale) riducendo i costi ai reali datori di lavoro, creando una lesione ai diritti dei lavoratori reclutati massimizzando così i profitti. 

L’analisi dei rapporti di lavoro delle maestranze reclutate nei ghetti della Capitanata portava alla luce un’evidente condizione di sfruttamento determinata da sotto-salario, gravi irregolarità contributive, lavoro nero, violazione dei riposi e delle ferie, tra l’altro, non venivano neanche sottoposti alla prevista visita medica, in alcuni casi rimanevano senza mangiare per molte ore e gli veniva fornita da bere “…acqua di pozzo…”. Sorvegliati e minacciati alla decurtazione delle già misere retribuzioni a cottimo. 

ALL'EX TABACCHIFICIO SOLUZIONE POSITIVA»

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