E' un fenomeno "in lieve diminuzione rispetto alla prima ondata, ma ancora tanti pazienti con infarto in corso arrivano tardi in ospedale perché pensa
E’ un fenomeno “in lieve diminuzione rispetto alla prima ondata, ma ancora tanti pazienti con infarto in corso arrivano tardi in ospedale perché pensano che alcuni sintomi siano riferibili al Sars-CoV-2. Ma non è così e pochi minuti possono fare la differenza. La difficoltà respiratoria che ci può essere in un infarto viene confusa come un sintomo di positività e si decide di non andare al pronto soccorso. Un fenomeno ancora molto presente in tanti ospedali italiani anche in questa seconda fase della pandemia”. Lo spiega all’Adnkronos Salute il cardiologo Francesco Romeo, presidente della Fondazione italiana cuore e circolazione Onlus, facendo il punto sugli effetti della pandemia sui pazienti con patologie cardiovascolari.
Dall’inizio dell’emergenza – aggiunge Romeo, già direttore della Cardiologia del Policlinico Tor Vergata di Roma – sono stati rimandati il 30% degli interventi al cuore, soprattutto quelli di cardiologia interventistica. Dobbiamo essere chiari”, precisa lo specialista: “Se ci sono un dolore toracico, la dispnea acuta o l’astenia, le palpitazioni, questi sono equivalenti ischemici e occorre chiamare il 118 o un medico. Non si deve aver paura del Covid o di andare al pronto soccorso”.
“E’ anche grave che in alcuni ospedali si stiano penalizzando gli interventi con la Tavi (l’impianto valvolare aortico transcatetere) – prosegue lo specialista – E’ quindi il caso di riattivare le attività per rispondere ai bisogni dei tanti pazienti anziani cardiopatici che attendono un intervento. A questa popolazione dobbiamo poi dare subito il vaccino anti-Covid, perché abbiamo visto che hanno un rischio di mortalità superiore se contraggono il virus”.
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