Lo scenario criminale garganico si conferma strutturalmente precario, in forte evoluzione e pertanto di complessa intelligibilità, connotato
Lo scenario criminale garganico si conferma strutturalmente precario, in forte evoluzione e pertanto di complessa intelligibilità, connotato dalla presenza di una pluralità di gruppi criminali con forte vocazione verticistica, basati essenzialmente su vincoli familiari e non legati tra loro gerarchicamente”.
Questa la fotografia della mafia garganica cristallizzata nella relazione della Dia al Parlamento, in relazione al secondo semestre del 20109. Una mafia che “si caratterizza per lo strettissimo rapporto col territorio, ove esercita un fortissimo potere di intimidazione e ove vengono poste in atto attività illecite quali le estorsioni, il traffico di sostanze stupefacenti e l’usura”. Tra questi lo “zoccolo duro” è rappresentato dal clan dei Montanari, nell’ambito del quale un ruolo chiave è svolto dalla famiglia Li Bergolis di Monte Sant’Angelo che, nel promontorio del Gargano, ha catalizzato elementi, vecchi e nuovi, provenienti da diversi gruppi locali
Elemento di punta di tutta la mafia garganica è il reggente del clan Li Bergolis, nipote del patriarca ucciso a Monte Sant’Angelo nel 2009, al quale, l’11 novembre 2019, è stata notificata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale, dopo che il pregiudicato, scarcerato il 13 settembre 2019, si era reso, per diverso tempo, irreperibile.
Lo stesso è stato, peraltro, nuovamente arrestato nell’ambito dell’operazione ‘Friends’, eseguita da polizia e guardia di finanza il 20 novembre 2019. Gli esiti dell’indagine mettono in chiara luce l’ambizione del clan dei Montanari di affermare la propria egemonia sulle attività illecite dell’intera macro-area del Gargano, se non addirittura di consolidarsi a livello extraregionale e nazionale. Le investigazioni hanno, inoltre, evidenziato le importanti collaborazioni del sodalizio con la ‘ndrangheta e, in particolare, i rapporti d’affari per droga e armi, tessuti nel triangolo Rosarno/Monte Sant’Angelo/Torino, con soggetti legati alla cosca Pesce-Bellocco di Rosarno (RC). Significativa, al riguardo, la presenza di esponenti della cosca di Rosarno in occasione di un summit tenuto a Monte Sant’Angelo (settembre 2016), durante il quale, secondo gli esiti investigativi, i calabresi avrebbero trattato l’acquisto di 1 kg di eroina dai Montanari, da destinare alla piazza di Torino.
Inoltre, nel provvedimento cautelare è stata rilevata la contiguità tra la batteria montanara e gruppi criminali di Lucera, fondata non solo sui comuni interessi “commerciali”, ma anche su un consolidato rapporto di amicizia tra due esponenti di rilievo delle cosche, i quali erano stati reclusi presso la medesima cella di sicurezza della Casa Circondariale di Bari, tra luglio ed agosto 2005. L’inchiesta, infine, ha dato risalto anche a figure che in quel contesto criminale sarebbero riuscite a ritagliarsi una certa autonomia operativa, circostanza questa, almeno apparentemente, in controtendenza rispetto ai descritti equilibri.
Un’autonomia che si è evidenziata anche per l’area di San Giovanni Rotondo, ma riguarda, più diffusamente, anche i territori di S. Marco in Lamis, Rignano Garganico, San Nicandro G. e Cagnano Varano, tutti centri nevralgici per le dinamiche criminali della provincia. Il ruolo centrale assunto dai Montanari nello smistamento della cocaina in Puglia trova riscontro anche negli esiti processuali dell’inchiesta “Montagne Verdi” (sentenza del 10 luglio 2019) e in quelli investigativi dell’operazione “Gargano” dell’8 agosto 2019. In particolare, quest’ultima indagine ha accertato l’esistenza di due distinti sodalizi, tra loro comunque connessi, il primo capeggiato da un elemento del clan Lattanzio di Barletta, il secondo da un pregiudicato appartenente al clan dei Montanari, ucciso ad Amsterdam nell’ottobre 2017.
L’omicidio sarebbe maturato negli ambienti del narcotraffico, in cui – come accennato – si sarebbero sempre più consolidate le collaborazioni tra la mafia garganica e la ‘ndrangheta. L’autore dell’omicidio, reo confesso e collaboratore di giustizia, avrebbe ricostruito le rotte del traffico di cocaina dal Sud America in Olanda, dove svolgeva da anni la sua funzione di broker tra i cartelli colombiani e le due organizzazioni mafiose italiane. Avrebbe, inoltre, fornito informazioni utili a ricostruire passaggi chiave nelle critiche dinamiche interne alle cosche del Gargano, nonché i possibili collegamenti tra la strage di San Marco in Lamis e altri omicidi avvenuti in provincia.
I Montanari, alleati del clan Francavilla di Foggia, restano in contrapposizione con il gruppo Ricucci-Romito-Lombardi. Quest’ultimo, risultato della rimodulazione criminale in atto nell’area, è stato così denominato, per la prima volta, nel provvedimento eseguito dai carabinieri il 17 aprile 2019920. Il gruppo in parola opera tra Manfredonia, Monte Sant’Angelo (frazione di Macchia) e Mattinata e vanta legami con altri gruppi del promontorio garganico (in particolare a San Marco in Lamis, Apricena e Vieste), nonché con i clan Trisciuoglio e Moretti di Foggia e con la malavita cerignolana. In ambito extraregionale, anche questo è legato ad alcune cosche calabresi. Proprio nella faida tra i Li Bergolis e i Romito (dopo le “eccellenti” epurazioni di esponenti dei clan Notarangelo, Gentile e Romito), l’11 novembre 2019, a Monte Sant’Angelo, è maturato l’omicidio di un elemento di vertice del clan Ricucci, cui ha fatto seguito, quale “risposta”, il fallito agguato, a Manfredonia, del 29 novembre 2019 ai danni di un pregiudicato, fratello maggiore del più volte citato reggente del clan Li Bergolis.
Se da un lato, quindi, il gruppo dei Montanari è apparso rafforzato anche dalla “vicinanza” di alcuni giovani appartenenti a famiglie una volta rivali, gli Alfieri-Primosa-Basta, nonché dal consolidamento dell’alleanza con la famiglia dei Lombardi (detti i “Lombardoni”), il clan Ricucci-Romito-Lombardi – a seguito del citato ennesimo fatto di sangue e dopo gli arresti che, nel semestre precedente, lo avevano privato di elementi apicali e delle frange operative di Mattinata e Vieste – risulta notevolmente indebolito. Per quest’ultimo gruppo un’ulteriore criticità è rappresentata dalla latitanza di uno degli elementi apicali del clan Ricucci, considerato il braccio operativo del sodalizio e cognato del boss ucciso, di cui sembra destinato a prenderne il posto.
Ciononostante, il sodalizio resta protagonista indiscusso dell’evoluzione del fenomeno mafioso su quel territorio, nonché di una significativa ingerenza nella gestione della “cosa pubblica”, come sembrano comprovare anche gli elementi alla base dello scioglimento del consiglio comunale di Manfredonia, la cui gestione è stata affidata ad una Commissione straordinaria per la durata di 18 mesi. Il provvedimento amministrativo è stato motivato sulla base di evidenti elementi di condizionamento dell’Ente sia da parte della mafia locale che della batteria foggiana dei Trisciuoglio-Prencepe-Tolonese. La Commissione d’accesso, infatti, ha proceduto ad una attenta analisi dei soggetti che, a vario titolo, hanno avuto responsabilità nelle scelte di indirizzo del Comune sipontino, evidenziando relazioni dirette tra alcuni esponenti dell’Amministrazione comunale e soggetti di spicco della criminalità organizzata, nonché numerosi legami societari e affaristici sussistenti tra i primi, o loro familiari, ed esponenti delle cosche mafiose.
Nella Relazione conclusiva “il prefetto stigmatizza l’intricato intreccio di relazioni familiari, frequentazioni e convergenze di interessi che legano diversi esponenti della compagine di governo e dell’apparato burocratico dell’ente – alcuni dei quali con pregiudizi di natura penale – a soggetti controindicati ovvero ad elementi anche apicali dei sodalizi localmente egemoni”. Più nel dettaglio, sono state rilevate “gravi, reiterate anomalie ed irregolarità nel settore delle concessioni demaniali marittime per l’esercizio di stabilimenti balneari – stigmatizzate anche dalla Ragioneria generale dello Stato a seguito del controllo ispettivo effettuato a luglio 2018” e “la sistematica disapplicazione del protocollo d’intesa sottoscritto con la prefettura di Foggia a luglio 2017, in base al quale il Comune di Manfredonia si era impegnato a richiedere le informazioni antimafia”. Altre irregolarità hanno riguardato il servizio di riscossione dei tributi locali, l’abusivismo edilizio, le licenze per la somministrazione di bevande, le concessioni demaniali marittime ad uso impianti di acquacoltura, quindi per la gran parte ambiti del locale sistema produttivo che assumono una funzione trainante nell’economia del territorio.
A Vieste, le contrapposizioni sfociate nella faida scissionistica tra Raduano e Iannoli-Perna (2015-2019) risultano cessate grazie alle efficaci operazioni di contrasto che hanno scompaginato entrambi i sodalizi. L’ultima in ordine cronologico, “Neve di Marzo”, ha riguardato le attività del clan Raduano nel narcotraffico e nello spaccio di droga. Tra i destinatari della misura emerge la figura di un pregiudicato catturato nelle Isole Canarie, dove si era trasferito da qualche mese per timore della sua incolumità e per sfuggire ad eventuali operazioni di polizia. Per quanto attiene alle caratteristiche del sodalizio, il provvedimento ne ha evidenziato la struttura verticistica, la gestione di una cassa comune, il controllo del territorio, la disponibilità di uomini, mezzi e luoghi (masserie, terreni e casolari) dove poter nascondere stupefacenti e armi e tenere i summit mafiosi. Sono stati, inoltre, messi in luce il dinamismo del clan nelle operazioni di approvvigionamento di droga, soprattutto nelle città di Cerignola e Cagnano Varano, dove poteva contare su appoggi da parte di esponenti della criminalità locale e di una rete di pusher assoggettati alle disposizioni impartite dai vertici.
Il quadro generale della criminalità nella cittadina di Vieste è stato reso ancora più instabile da recenti fratture maturate all’interno nel clan Raduano, come dimostra l’operazione del 19 ottobre 2019 che ha portato fermo di indiziato di delitto di due pregiudicati, vicini al clan Raduano, ritenuti responsabili del tentato omicidio, avvenuto il 14 ottobre 2019, nei confronti di un altro soggetto dello stesso clan. È stata contestata “l’aggravante di aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis c.p. risultando l’azione omicidiaria, la detenzione e il porto della predetta arma direttamente riconducibile alla contrapposizione violenta derivante dalla frattura interna al gruppo criminale Raduano per il controllo egemonico del territorio viestano e delle attività correlate al traffico di droga. Avendo, inoltre, commesso il fatto, con modalità di chiaro stampo mafioso, in pieno giorno, a volto scoperto ed in zona centrale della città di Vieste, tali da incutere timore nella locale popolazione e da manifestare la propria caratura criminale sul territorio anche a discapito di altri criminali locali”.
Gli arrestati, identificati grazie alle riprese degli impianti di video-sorveglianza, sono stati rintracciati all’interno di un’abitazione rurale nella disponibilità della famiglia Notarangelo. Di rilievo anche la figura della vittima dell’agguato (arrestato nel 2015 dell’ambito dell’operazione “Nuovo Orizzonte”), indicata dal provvedimento come un soggetto “di specifico interesse operativo in relazione alla nota faida in atto nella città di Vieste ed in generale sul territorio garganico, relativa al traffico di sostanze stupefacenti”, e vicina allo stesso capoclan Raduano.
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