Il papavero, pianta erbacea, denominato in loco “ šcappe” (si legge skappe), appartiene alla famiglia delle Papaveracee. La più comune, tra le dod
Il papavero, pianta erbacea, denominato in loco “ šcappe” (si legge skappe), appartiene alla famiglia delle Papaveracee. La più comune, tra le dodici presenti in Italia, che cresce spontanea (considerata tra l’altro pianta infestante nei campi, in particolare nei seminativi di grano) è il rosolaccio (Papaver rhoeas). In Italia si trova anche allo stato spontaneo il Papaver somniferum varietà setigerum (che cresce nelle zone costiere e anche in alta montagna fino a 1500 metri di altezza.). Questa varietà di papavero, che insieme al papaver rhoeas hanno basse percentuali di alcaloidi, cresce spontaneo in Abruzzo in particolare in provincia dell’Aquila e di Chieti, quando le annate sono molto piovose. Invece, la coltivazione estensiva a scopo commerciale del papavero da oppio (Papaver somniferum) in Italia è regolamentata. Tant’è che la coltura del papavero da oppio, che viene utilizzata specialmente per la produzione della morfina e degli oppiacei a uso medico è soggetta ad autorizzazione governativa, rilasciata annualmente dall’Alto Commissario per l’Igiene e Sanità Pubblica-(Legge n. 1041/54 –Disciplina del commercio, della produzione e dell’impiego di sostanze stupefacenti).
Il papavero da oppio, fiorisce tra maggio e luglio. I nostri contadini un tempo, coltivavano il papaver somniferum (poche piante) nel proprio l’orto per l’utilizzo delle capsule del fiore a scopo medicinale in famiglia. Anche le capsule del papavero Rosolaccio, ritenute moderatamente sedative e antispasmodiche, venivano utilizzate per produrre infusi e sciroppi per lenire la tosse, l’insonnia e l’eccitazione nervosa. “U casscetille” l’infuso preparato, dopo l’essiccazione avvenuta delle capsule dei papaveri da oppio, veniva frequentemente utilizzato nel Meridione per scopo terapeutico. A Manfredonia, fino agli anni ’50, le nostre mamme facevano uso dell’oppio che provocava (a papàgne) la sonnolenza che veniva disciolto in bevande e serviva per addormentare i bambini. La somministrazione dell’oppio un tempo, e non solo in loco, nella cultura popolare contadina era un mezzo curativo molto praticato. Le mamme, esercitavano tale terapia per i lattanti preparando “a pupatèlle” una sorta di succhiotto (fatto con una pezzuola di lino arrotolata), che imbevuto nell’infuso preparato veniva dato al bambino per farlo addormentare. La tisana “u casscetille” preparata veniva somministrata in piccole dosi e con molto riguardo per evitare conseguenze talvolta tragiche per il poppante. Il sonnifero utilizzato dalle mamme a scopo sedativo, serviva per lenire le coliche intestinali, oppure veniva dato al lattante per calmarlo perchè “iove pecchjùse” piangeva spesso e non dormiva.
Va anche considerato che fino agli anni ’50-’60, moltissime famiglie nel meridione, era composte da almeno 8-10 persone. Immaginate, quindi, la difficoltà delle povere mamme costrette “a cummàtte pe tanda creijòcce” ad accudire tanti figli. L’infuso, veniva anche dato a piccoli bambini irrequieti “revattuse” per tranquillizzarli, mentre i genitori lavoravano in campagna. Il papavero da oppio che si vendeva a mazzetti anche nelle “spezzjarije” farmacie locali. L’infuso veniva solitamente preparato dalla madre del bambino. A Manfredonia, era in voga un tempo un modo di dire delle mamme, in particolare nel periodo dello svezzamento quando i poppanti erano alquanto irrequieti, che così recitava: “Madònne, cume ja fè pe stu uagnòne ca chiange sembe, sacce si li deche nu poche de papagne”!.
I giochi di un tempo con il papavero
Ricordo, che noi ragazzi a Manfredonia, nel mese di maggio, praticavamo con i petali del papavero rosso comune denominato in loco ”šcappe” (si legge skappe) raccolto nei campi, un gioco denominato ”u šcattille” (si legge skattille). Si metteva un petalo sulla mano sinistra chiusa a mò di imbuto e si batteva con il palmo della mano destra provocando “u šcattille”. Un altro gioco, sempre con i papaveri, era quello di utilizzare le capsule dure del fiore che hanno sulla corona una sorta di stimmi raggiati a forma di stella. Esercitando con le capsule, una piccola pressione sul braccio o sul polso oppure sulla fronte rimaneva impressa la forma di un fiore, una sorta di tatuaggio, che spariva dopo poco tempo. Va ricordato, che a Manfredonia “u šcattille” era anche un altro gioco che noi ragazzi facevamo “pa lote” con il fango che prendevamo da terra per le strade dopo una giornata di pioggia e lo lanciavamo sui muri delle case dove si attaccava provocando “u scattille”. Quest’ultimo gioco, alquanto maldestro perché sporcavamo le mura di casa “pa lote” provocava l’ira delle massaie che abitavano nei pianoterra che uscivano immediatamente dall’abitazione e sbraitando con termini poco ortodossi ci inseguivano minacciose con una scopa che spesso ci lanciavano dietro.
Notizie storiche sull’utilizzo dell’oppio nell’antichità
Gli antichi egizi utilizzavano l’oppio come calmante. Ippocrate, medico greco definito come “il padre della medicina moderna” nel IV sec. a.C. lo consigliava come rimedio per diverse malattie. In Italia e in Europa l’utilizzo dell’oppio cominciò a diffondersi solo dopo la conquista di Roma della Grecia nel 146 a.C.
Galeno, il più grande medico dell’antichità, lo usava spesso per i sintomi di avvelenamento, per problemi di vista, cefalee, epilessia, sordità e lebbra. Si dice che abbia curato l’imperatore romano Marco Aurelio, fino a farlo diventare oppiomane.
FOTO TESTO A CURA DI FRANCO RINALDI
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