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Le gelate prima sferzano i campi ed ora i prezzi dell’olio extravergine d’oliva che, in un solo mese, perdono il 20% (si prevede un ulteriore calo). Olivicoltori, produttori e frantoiani italiani (pugliesi in primis) sono vittime delle importazioni record da Spagna e Tunisia.
Dopo l’annus horribilis scorso funestato dalla mancata produzione – figlia delle gelate di febbraio 2018 – e dalla Xylella fastidiosa, la batteriosi che continua a distruggere gli uliveti del Salento minacciando anche quelli della Terra di Bari, anche la nuova campagna, che avrebbe dovuto consentire il riscatto al settore, suscita malumori e delusioni. Alla base del malcontento sono di certo i prezzi in picchiata. I dati fotografano con precisione la situazione: la prima rilevazione della nuova campagna da parte della Borsa merci di Bari, il cui valore è da sempre riferimento delle contrattazioni, lo scorso 29 ottobre registrava un prezzo che oscillava tra i 4,50 e 4,60 euro al chilo. Un mese dopo, il 26 novembre, la stessa Borsa merci registrava una forbice dei prezzi tra i 3,40 e i 3,80 euro al chilo.
Un crollo di oltre un euro che avvicina in misura sensibile il prezzo dell’extravergine d’oliva italiano ai livelli del prodotto spagnolo. Agricoltori e organizzazioni sono da settimane sul piede di guerra. «Nonostante una buona ripresa produttiva e una qualità eccellente del prodotto, il mercato dell’olio quest’anno ancora non decolla: gli acquirenti aspettano, le cisterne si riempiono e chi ne paga le conseguenze sono come al solito i produttori e i frantoiani», denuncia Gennaro Sicolo, presidente di Italia Olivicola, che insieme alla Cia nazionale, ha per primo lanciato l’allarme. «Sotto i 4,50 euro al chilo nessun prezzo può essere giusto perché non remunera i coltivatori, che devono fare un buon olio, investire per preparare la campagna dell’anno successivo e guadagnarci anche qualcosa, se possibile», fa chiarezza il presidente di Italia Olivicola.
«I produttori e i frantoiani – rimarca Sicolo – continuano a rappresentare l’anello debole della catena e questi comportamenti di certo non agevolano la ripartizione del valore tra tutti i protagonisti della filiera. Vendere un prodotto d’eccellenza a un prezzo stracciato significa non recuperare nemmeno le spese sostenute dagli agricoltori per lavorare e irrigare i terreni e curare le piante». «Dopo la disastrosa annata passata, la peggiore di sempre, questa bolla commerciale – avverte – mette in ginocchio migliaia di famiglie e un intero settore simbolo del made in Italy. Per questo auspichiamo una ripresa delle contrattazioni per evitare il naufragio della campagna olivicola e porre rimedio a questa situazione prima che sia troppo tardi».
E chissà che la svolta non possa arrivare domani, giorno in cui è previsto un «tavolo sull’emergenza» convocato a Roma dal ministro Teresa Bellanova. «Confidiamo nel lavoro di concertazione del ministro e del sottosegretario, ma occorre davvero fare presto e coinvolgere la grande distribuzione che non può essere esente da responsabilità anche perché gli scaffali non sono gestiti né dagli agricoltori né da commercianti ed industriali», evidenzia Dino Scanavino, presidente nazionale della Cia, che aggiunge: «Dal canto nostro stiamo lavorando con le nostre cooperative mettendo a deposito l’olio dei nostri soci e cercando di dare risposte a loro: le nostre strutture, costruite con impegno e sacrifici negli anni sono, però, a disposizione dei produttori e del sistema olivicolo italiano per provare a frenare questo crollo dei mercati».
«Ora più che mai – conclude il numero uno della Cia – occorre lavorare per unire la produzione, per rinforzare il sistema delle cooperative: la disgregazione degli agricoltori è l’arma migliore per chi incide sui mercati e indebolisce proprio i produttori».
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