NON HO SCAMPO, MA SE CAMPO PARLO

UNA nuvola su uno scempio divoratore, calato di fronte con la sua grande mole. Dal mare di vista proprio di qua, dalla parte del bene che scruta la pa

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UNA nuvola su uno scempio divoratore, calato di fronte con la sua grande mole. Dal mare di vista proprio di qua, dalla parte del bene che scruta la parte del male. La struttura assassina della città degli sfregi,la civiltà della morte veloce o lenta allo stesso tempo medesimo umano. Dalla parte del puro, guardare la lurida fabbrica un’aria soffiata lungo un’enorme distesa di macchia nera, sottoterra di largo polmone marcio che ogni giorno divora brandelli invisibili, sparsi nell’atmosfera che noi respiriamo coscienti di buono, che ci mangia lentamente, macina a distanza noi corpo in movimento nel raggio dell’anno il consumo e lo spreco di vite.

Dalla parte del vento che sputa veleno chimico nocivo, da buttare sangue, male oscuro malefico, bocche infernali del malessere costante incalzante che funge dal mare chilometri mortali di sostanze indescrivibili. Dalla parte del pane diventato carbone, assaporato nei giorni, quando i cani abbaiano agli spettri ingombranti che agiscono di notte, tra le ruote dell’abitato tra le lancette inclinate, in un disastrato mal di dire incolume. Dalla parte di questa forma di nuvola, che pare una gigantesca aquila con le sue lunghe ali sorvola in un terreno preciso, da cacciare cibo per il suo appetito diabolico. Dalla parte di uno strano silenzio, di un luogo che non respira, dove la terra è combustione, dove muta la parola non ascoltata, passa sul porto della colpevolezza omicida.

Dalla parte delle mani diventate cattive, per firmare accordi per costringere all’esilio, per far accettare ad ogni costo il denaro amaro di malattia cancerogena, senza scampo di chiedere aiuto senza nessuno che ti possa salvare, condannato per l’eternità. Dalla parte del bisogno dove tutto è logico anche il mare si può bere, e la farina all’arsenico va lavorata per fare la pasta, da trasportare con la nave, quella del grano puro e giallo alla superficie, ma nei chicchi polvere tanta polvere di un colore che non sa definirsi, senza spiegazione al delinearsi, senso, punto, grigio di liquido sparso in un pezzo di asfalto, senso, non ha alcun senso,forse è il tatto ma non ritraggo, mi accontento, sto zitto, ritraggo perché ho bisogno, non posso, stare attento, mi tradiscono mi uccidono comunque non ho scampo, ma se campo parlo, non so se poi servirà, chi lo sa, senso dare il senso perché non ci riesco alla parola che mi dicono: -Fai come ti diciamo che ti va da cento.

 

Di Claudio Castriotta 

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